Pagina:Gramsci - Quaderni del carcere, Einaudi, III.djvu/719

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2220 QUADERNO 23 (vi) trarre un buon esercito; apparvero di tanto in tanto capacità militari di primo ordine, come Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele ecc., ma mancò appunto una tradizione, una continuità neiraristocrazia, nell’ufficialità superiore. La situazione fu aggravata dalla restaurazione e la prova se ne ebbe nel 48 quando non si sapeva dove metter le mani per dare un capo all’esercito e dopo aver domandato invano un generale alla Francia, si finì con l’assumere un minchione qualsiasi di polacco. Le qualità guerriere di Vittorio Emanuele II consistevano solo in un certo coraggio personale, che si dovrebbe pensare essere stato molto raro in Italia se tanto si insiste per farlo rimarcare: lo stesso si dica per il «galantomismo»; si dovrebbe pensare che in Italia la stragrande maggioranza fosse di bricconi, se l’essere galantuomini viene elevato a titolo di distinzione. A proposito di Vittorio Emanuele II è da ricordare l’aneddoto riferito da F. Martini nel suo libro postumo di memorie (ed. Treves); racconta il Martini che dopo la presa di Roma Vittorio Emanuele abbia detto che gli dispiaceva non ci fosse più nulla da «piè» (pigliare) e ciò a chi raccontava l’aneddoto (credo Q. Sella) pareva dimostrare che non ci fosse stato nella storia un re più conquistatore di Vittorio Emanueles. Dell’aneddoto si potrebbe dare forse altra spiegazione più terra terra, legata alla concezione dello stato patrimoniale e alla varia misura della lista civile. È da ricordare poi l’epistolario di Massimo D’Azeglio pubblicato dal Bollea nel «Bollettino Storico Subalpino»6 e il conflitto tra Vittorio Emanuele e Quintino Sella7 su quistioni economiche. Ciò che poi stupisce molto è che si insista tanto sugli episodi «galanti» della vita di Vittorio Emanuele come se essi | fossero tali da rendere più popolare la figura del re: si narra di alti funzionari e di ufficiali che andavano nelle famiglie di contadini per convincerle a mandare delle ragazze a letto col re per quattrini. A pensarci bene è stupefacente che tali cose siano raccontate credendo di rafforzare l’ammirazione popolare. «... il Piemonte... ha una tradizione guerriera, ha una nobiltà guerriera». Si potrebbe osservare che Napoleone III, data la «tradizione» guerriera della sua famiglia, si occupò