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E quegli le narrò umilmente la storia, ed Isabella la confermava j)er vera, aggiungendo il fallo del mercante stare in questo, che supponendola capace di volerlo giuntare le aveva detto villania, senza considerare ch’era impossibile prendere lui esperto a cotesta frode manifesta, mentre, se avesse avuto punto di discrezione, doveva facilmente immaginare lei imperita vittima di qualche truffa.

E poichè la contessa chiese ad Isabella da cui tenesse l’anello, questa avendoglielo detto, soggiunse:

— Ed ora lascio considerare a lei signora, s’egli è possibile che un uomo qual fu lo zio Orazio Onesti volesse donarmi un diamante falso?

Il mercante, udendo ricordare il nome di Orazio, vera gloria del paese, non solo per altezza d’ingegno, bensì j)ei* eccellenza di costumi, si faceva piccino piccino, e se lo avesse potuto si saria rimpiattato nella cantera del suo banco. Intanto la contessa ripiglia:

— No certo; ma come mai può essere avvenuto questo? Che il gioielliere sbagli non è da supporsi, e poi... (e qui diede uno sguardo all’anello, come persona usa a praticare con gemme) la differenza si conosce in un battere di occhio.

Questo discorso insomma portava a significare: mira, plebea! a me non l’avrebbero ficcata; ma la povera Isabella aveva ben altro in mente che ab-