Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/165

Da Wikisource.

163

vendette e delle sue anche più truci paure esecutori immanissimi, io per me rinunzio a intendere che sia infamia e che cosa magnanimità. Egli è certo che se le Bestie apparivano per indole propria malefiche, non erano assunte all’onore d’insegna cavalleresca, e per chiarircene basta un colpo d’occhio: i Romani si presero l’Aquila, rapacissimo tra gli Uccelli; i Francesi prima ebbero il Gallo, simbolo di lascivia, ma trovando poi che, quantunque salacissimi fossero, lo istinto della rapina superava in loro d’assai, vollero l’Aquila; l’Aquila si tolse per insegna l’Austria; le Aquile la Russia e la Prussia e, per più divorare, assegnarono loro due becchi; i Frigi e i Traci il Porco cignale, i Goti l’Orsa, i Vandali il Gatto, gli Unni l’Avvoltoio incoronato, i Normanni i Leoni; insomma, io non la finirei più, se volessi riferire partitamente le Bestie feroci reali e imperiali convertite in simboli di dignità, anzi, non contenti delle belve vere, andarono a immaginarne delle fantastiche, come sarebbero Dragoni, Grifi, Sfingi, Sirene, Arpie, Serpenti volanti e simili.

Pertanto cavaliere del Cane non si trovò chi consentisse essere salutato, mentre la Volpe la quale in casa ai Cani gli è quasi una bolla sul naso, piacque tanto ad un re, che nella ingenua tirrannide se ne fece impresa. Lo re Arrigo, racconta l’antico