Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/112

Da Wikisource.
102 il cuore malato

viava gradatamente ma sicuramente verso quelle maggiori concessioni e più tardi verso quel grazioso atto di bontà e di giustizia che l’unico nipote sognava per ripristinare la sua logorata fortuna.

Da qualche tempo il severo gentiluomo, sempre sdegnoso e freddo nella sua rigida persona scarna e dritta come l’acciaio, piegava e s’indeboliva sotto il peso di una infermità noiosa e continua che i medici avevano dichiarato inguaribile e si trascinava stentatamente in compagnia d’un domestico dall’uno all’altro luogo di cura, dall’una all’altra clinica illustre, senza trovar rimedio nè quiete. Fu allora che molto accortamente il conte Alberto gli aveva scritto supplicandolo d’accettare ospitalità in casa sua, nel vecchio palazzo gentilizio ch’egli ancora possedeva in provincia e dove don Eusebio era nato e cresciuto. Ed il vecchio, fiaccato dalla tristezza e vinto dalla malattia, aveva telegrafato accettando.

Donna Giacinta gettò appena uno sguardo sul foglietto giallo che il marito le stendeva trionfante dinanzi al viso e disse pacatamente:

— Sono contenta, sono molto contenta: faremo pace don Eusebio ed io, anzi faremo semplicemente conoscenza, poichè siamo ancora ignoti l’uno all’altro.

Ella s’era sentita sempre indifferente all’ostilità del congiunto di suo marito che