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Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/164

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154 questa è la verità

coi suoi zingari, con quel suo apparato tra barbaro e scenografico che gli attirava l’attenzione di tutti, e con meraviglia ella lo aveva visto occuparsi a poco a poco di lei con una insistenza sempre più palese, avvolgerla in lunghi sguardi imploranti, seguirla durante le passeggiate, mandarle in camera bellissimi fiori, senza rivelarsi. Finchè un giorno ch’ella aveva prolungato troppo la sua ora di passeggio e sedeva un po’ pallida e molto stanca sopra un muricciuolo in aperta campagna, si vide raggiunta dall’automobile dell’ungherese, il quale le rimproverò dolcemente la sua imprudenza e la pregò di accettare la sua vettura per tornare all’albergo.

Da quel giorno, un po’ per curiosità un po’ per noia, ella non aveva respinta la corte fervidissima di quell’uomo a cui nessuna affinità di spirito o di razza l’avvicinava e, senza amore, si era lasciata trascinare grado grado dalla veemenza di quel desiderio a tutte le concessioni. Ora, il pensiero che il marito tornasse a riprenderla, a scioglierla da quel passeggiero e pur già grave legame le sollevava il cuore da un peso forse di rimorso e forse di sazietà, le dava quasi un senso benefico di liberazione. Le proteste di amore eterno e di fatale passione di Sergio Kadar le erano sembrate sempre esagerazioni leggermente teatrali, gesti decorativi fatti per colpire la sua immaginazione o forse per in-