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Pagina:Guglielminetti - Le ore inutili, Milano, Treves, 1919.djvu/163

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L'uomo tinto 155

li allontanava con molestia irosa sentendoli puerili e stolti, ma nondimeno, ritta in mezzo alla stanza, con le sopracciglia congiunte sugli occhi fissi al suolo, ella vedeva passare dinanzi a sè, come poco prima dall’alta terrazza, la figura nera di quel vecchio vicino, ricco, avaro e ritinto che le aveva forse ricondotto in cuore l’antico tormento sopito.

Perchè mai quell’uomo, che racchiudeva nei suoi scrigni quella forza stupefacente e prepotente con cui tutto si può ottenere, anche l’illusione della felicità, preferiva invece di vivere come un povero, in una solitudine umile e gretta, ostentando dinanzi al prossimo che lo scherniva quella sua persona meschina, intorno a cui aleggiava un sentor losco di mistero e d’intrigo?

Costui possedeva il mezzo prodigioso con cui ammansare le ferocie dell’umanità, con cui piegare ai suoi piedi in adorazione coloro che adesso lo deridevano e non se ne serviva nè contro di loro nè in pro di se stesso. Vegetava solo, contando il suo danaro, infagottato in vecchi abiti male odoranti, in poche stanzette buie dove nessuno entrava mai, mentre avrebbe potuto vivere in un palazzo sfarzoso, fra domestici esperti in tutte le arti del servire, fra donne esperte in tutte le arti dell’a-