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libro quintodecimodecimo - cap. iii 191

essere di maggiore statura e per l’altezza del cavallo sopraffacendolo molto, il colpo destinato alla testa lo percosse in sulla spalla. Trasse dipoi la spada fuora per dargli un altro colpo. Ma la ferita fu piccolissima e di taglio; ed essendo giá concorsi molti si messe in fuga, seguitato dai cavalli della guardia, ma avanzandogli per la velocitá del suo cavallo si salvò nel Piemonte. Cosa, se allo ardire e alla industria fusse stata corrispondente la fortuna, certamente accaduta rarissime volte e forse non mai, che uno uomo solo avesse, a mezzodí, in sulla strada publica, ammazzato uno principe sí grande, accompagnato da tante armi e da tanti soldati, in mezzo dello stato suo, e si fusse fuggito a salvamento. Ritirossi il duca cosí ferito a Moncia, non potendo credere che in Milano non fusse congiurazione: dove Prospero e il Morone, per il medesimo sospetto, avevano subito fatto ritenere il vescovo di Alessandria fratello di Monsignorino, il quale, messosi volontariamente in mano di Prospero sotto la fede sua, ed essendo esaminato, fu poi mandato prigione nella fortezza di Cremona; essendo vari i giudizi degli uomini se e’ fusse stato conscio o no di questa cosa. Succedette, quasi ne’ medesimi dí, che Galeazzo da Birago seguitato da altri fuorusciti dello stato di Milano, con l’aiuto di alcuni soldati franzesi che giá erano nel paese del Piemonte, fu dal castellano della fortezza di Valenza, di nazione savoino, introdotto nella terra: il che inteso da Antonio de Leva, il quale con una parte de’ cavalli leggieri e de’ fanti spagnuoli era in Asti, vi andò subito a campo; ed essendo la terra debole, la quale gli inimici non avevano avuto tempo a riparare, piantate le artiglierie, la espugnò il secondo dí, e dipoi battuta la fortezza ebbe il medesimo successo: restando nell’una e l’altra espugnazione morti circa quattrocento uomini e molti prigioni, tra’ quali Galeazzo capo di questo moto.

Passava del continuo i monti l’esercito franzese, dietro al quale avea destinato passare il re; ma turbò il suo consiglio la congiurazione che venne a luce del duca di Borbone. Il quale, per la nobiltá del sangue regio per la grandezza dello