Pagina:Guidiccioni, Giovanni – Rime, 1912 – BEIC 1850335.djvu/39

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XLIX

Lungi dagli occhi di lei, morrebbe.

Amor, s’io non vedessi
talor quegli occhi vaghi, ove le ’nsegne
spieghi di tante tue vittorie degne,
finir vedrei mia vita:
ché s’avvien che la dolce amata vista
fortuna mi contenda o ’l ciel mi toglia,
tanto l’alma s’attrista,

ch’ogn’altra è nulla a par de la mia doglia.

Ma quando vedi, Amore,
ch’io giungo a l’ultim’ore,
mi porgi qualch’aita
e de’ begli occhi sol mi mostri tanto
ch’io fuggo morte e do fine al mio pianto.
Ma fora ’l mio migliore
e tuo piú largo onore,
poiché negli occhi suoi sta la mia sorte,
mostrarmegli piú spesso o darmi morte.

L


Seco ella lo solleva a Dio.

Che degna schiera di pensieri eletti
dal petto del bel vivo idolo mio
talor si move e va volando a Dio,
guidata dagli angelici intelletti !

E par che dolce, in aprir l’ali, aspetti
e con sagge lusinghe preghi ch’io
seco mi levi al ciel con pensier pio,
deposto il peso de’ terreni affetti.

— Pon mente — dice — in quella unica e viva
luce che n’apre il ver, ratto fuggendo
l’ombra ch’ai seme di salute noce. —

Stella nel nascer suo del mare schiva
non mostrò mai salir, come, schernendo
il mondo, allor m’alz’io scarco e veloce.