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di frate guittone d’arezzo 261

227

A messer Gherardo, podestá d’Ancona.


     Vero mio de vendemmia compare,
messer Gherardo, podestá d’Ancona,
legge, decreto e scenzia assai mi pare
che leggete e savete, o’ si ragiona,
     5ed amor ed onor, padre, donare
e cavallaria nova, u’ par depona
el piò avar avarizia e largheggiare
pena allora e auro in pregio dona.
     Non mova giá de le man vostre il cardo,
10il qual sempre portaste, altrui cardando;
ma parme ’l cardo divenuto or graffio
     e voi di giocular fatto piccardo,
arnesi e gioi rapendo e derobbando
chi n’agia, poi che ’l veder non affio.

228

Invita un suo «diletto figlio» a darsi tutto a Dio.


     Lo dire e ’l fatto tutto certo e ’l sono
piacem’assai certo, deletto figlio;
perché in amor tuo lo core pono,
in prode te tenere m’assottiglio.
     5For che m’engiuliasti in ponto alcono,
troppo servendo in che vengiar non viglio.
In tale engiulia assai degn’è perdono,
ingiuriando sí non te simiglio.
     Crede figlio mio, non giá io taccia
10a tutto ciò che te voler s’addia;
ma tuttavia de me non confidare;
     ma, quanto poi, con Dio stretto t’abbraccia,
e tutto solo lui piacer desia:
confida d’esso, e non temere orrare.