Pagina:Hypnerotomachia Poliphili.djvu/450

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la sua rea conditione et doloroso caso. Che cusì facilmente credetteno, et cum mera fede arbitravano, che la tua incomparabile bellecia havesse sortito et associato sé, cum il congesto inenodabile di qualche dulcitudine di animo. Gli quali ochii cum propera appetentia et flagrante petulantia sono stati causa et primario initio dilla ruina et captivitate dilla vita mia. Né per questo ancora non gli posso cum alcuno temperamine obfrenare, che extremamente non optano quelle remirare. Et quel fulgentissimo Sole che gli hae facti obscurare, et di ricidivare praecipitante nel pernitioso damno. Diqué o spirito coeleste et venerando Idolo mio. Si propitiata al mio scrivere hora non gli concedi adito et audito, forsa è per la mia absentia. Ma amabile Signora mia si in conspecto et praesentialmente me vedesti strugere et languire, et tutto liquabile in lachryme, inseme cum crebescenti sospiri, et me dolcemente dare opera di flectere l’animo tuo, et supplicabondo a misericordia te et a placamento deprecare. Et similmente cum omni riverente et ancillata mansuetudine narrare lo incredibile amore che io ti porto. Et la amaritudine di core che io sustengo et il fastidio dilla già odiosa vita mia. Et quello che per te continuabile miseramente io patisco. Heu me Polia Inclyta, delle Nymphe pulchritudine, son certo che a pietate te commoveresti, et liquidamente cognosceresti che io merito di impetrare favore et praesto adiuto da te. Il quale quando che persistendo pertinace et impia il denegasti renitente, et sì fervido et protervo amore respuente tanto coniectare posso, che tu mi dici che io crepi et mori per te. Modo che conveniente cagione senti di consentire ad tanto male? che laude? che praemio? che victoria? che contento ne potrai unque diciò consequire? Immo vulgatissimo infame notato di vituperabile crudelitate. Et forsa inexorabile vindicta. Dagli vindicatori Dii la quale mai cespitando non lassa fugire il praevio et fugaculo scoelesto. Non volere dunque assentire ad tanto, vituperabile male, ma più praesto cum tua summa corona rendite pia, mite, et placevola. Della quale cosa, et ornamento della tua commendabile bellecia, et longanimitate della nostra caduca vita, et contento, et quiescentia, et suavissimo fructo pullulare et concrescere in breve punctulo, non ingrato sentirai. Perché altro thesoro al mondo tanto pretioso si potria extimare, che dui uniformi amanti. Né più maledicta maligna et improbabile cosa, che tu essere amata, et non amare. Per la quale cosa si al praesente sospitatrice dil mio amore et salutigera ad gli mali mei non te praesti, che voi tu ch’io faci più di questa tristibile vita hogi mai per te tanto nociva et dolorosa? Essendo certo che si obdurata obstinatamente inmitigabile persevererai, immane et stupida, da insopportabile passione, me convignerae fora di essa vita commeare, et per questa via finalmente la tua