Pagina:I Malavoglia.djvu/122

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starla, e si dibatteva contro don Silvestro il quale la spingeva fuori tirandola pei capelli, e poi se la menò in disparte dietro il rastrello della chiusa.

— Infine che volete? — le disse come furono soli, — a voi che ve ne importa se mettono il dazio sulla pece? forse che lo pagate voi o vostro marito? o non devono pagarlo piuttosto quelli che hanno bisogno di far accomodare le loro barche? Sentite a me: vostro marito è una bestia ad essere in collera col municipio, e a far tutto questo chiasso. Ora si devono fare gli assessori nuovi, in cambio di padron Cipolla o di massaro Mariano, che non valgono niente, e si potrebbe metterci vostro marito.

— Io non ne so nulla, — rispose la Zuppidda, calmatasi tutt’a un tratto. — Io non me ne immischio negli affari di mio marito. So che si mangia le mani dalla collera. Io non posso far altro che andare a dirglielo, se la cosa è certa.

— Andate a dirglielo, è certo come è certo Dio, vi dico! Siamo galantuomini o no? santissimo diavolo!

La Zuppidda partì correndo a prendere suo marito, il quale stava rincantucciato nel cortile a cardar stoppa, pallido come un morto, e non voleva escire per tutto l’oro del mondo, gridando che gli facevano fare qualche sproposito, santo Dio!

Per aprire il sinedrio, e vedere che pesci si pigliavano, ci mancava ancora padron Fortunato Cipolla, e massaro Filippo l’ortolano, i quali non spuntavano mai, sicchè la gente incominciava ad annoiarsi, tanto che le comari s’erano messe a filare lungo il muricciuolo della chiusa.