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194 I Vicerè

facevano recitare per loro conto ai Cappuccini, dietro pagamento. Viceversa poi, nelle grandi solennità religiose, a Natale, a Pasqua, per la festa del Santo Chiodo, tutti prendevano parte alle cerimonie la cui magnificenza sbalordiva la città.


Le prime a cui assistette il principino furono quelle della Settimana Santa. Durante un mese la chiesa fu sossopra, per la costruzione del Sepolcro in fondo alla navata di sinistra: chiusa da un grande impalcato, con le finestre sbarrate, tutta adorna di candelabri di cristallo splendenti come blocchi di diamanti, e di vasi col grano lasciato crescere al buio perchè non prendesse colore, e popolata di statue rappresentanti la Sacra Famiglia e gli Apostoli, era veramente irriconoscibile. Il giovedì, a terza, tutto il monastero scese in chiesa, pel Pontificale, con l’Abate alla testa, a cui i novizii portavano il bacolo, la mitra e l’anello e i caudatarii reggevano lo strascico. L’apparato era quello della Regina Bianca, tutto di drappo rosso ricamato d’oro, e sull’organo maestoso di Donato del Piano, tenori, bassi e baritoni scritturati a posta cantavano il Passio che la folla pigiata stava a sentire come al teatro. Dirimpetto al soglio dell’Abate, nei posti migliori, c’erano tutti gli Uzeda: il principe e il conte con le mogli, donna Ferdinanda, Lucrezia, Chiara col marito; e scorto Consalvo, gli facevano piccoli segni col capo, sua madre e la zitellona specialmente, ammirando la sua cotta candida e insaldata a mille piegoline, lavoro speciale delle Suore di San Giuliano. S’udiva per tutta la chiesa, quando la voce potente dell’organo taceva, un ronzìo come d’alveare, un urtarsi di seggiole, lo stropiccìo dei passi; luccicavano i fucili e le sciabole dei soldati disposti dinanzi alle tre porte e lungo le navate per aprire il varco alla processione, più tardi. Intanto dodici poveri rappresentanti i dodici Apostoli, erano entrati nel Coro; l’Abate, inginocchiato, lavava loro i piedi — seconda