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482 I Vicerè

per ogni dove, le dava consigli, non parendole vero di poter esercitare su qualcuno la sua smania d’autorità. La principessa la lasciava fare; ma a Chiara non restituì neppure la visita, per via del bastardello. Una ragazza come Teresa, appena uscita di collegio, poteva andare in una casa dove c’erano di quei pasticci? Ella diceva a tutti, cameriere, parenti e conoscenze, con grandi gesti e torcimenti di sguardo: «Posso permettere che mia figlia sappia di queste cose, eh? Tanto peggio se Chiara se ne adonta». E Chiara se ne adontò in malo modo. Aveva rotto con tutti i parenti, oramai, per amore del figlio della cameriera, il quale, guastato dai tanti vizii, la comandava a bacchetta, le dava del tu, all’occorrenza le alzava le mani addosso. Ma ella lo lasciava fare, e se il marchese diceva mezza parola, grida, minacce, un inferno. Dopo gli scrupoli della cognata-cugina, si nettò la bocca contro di lei, tanto più che per ordine di Giacomo, donna Graziella condusse Teresa a baciar la mano allo zio don Blasco. Dal monaco sì, che teneva la Sigaraia e le tre figlie in casa, e da lei no? «Sicuro, perché dal monaco aspettano l’eredità...»

Don Blasco, adesso, era un signore: oltre la casa e i due poderi, aveva messo di bei quattrini da canto; il principe gli faceva la corte per questo. Il Cassinese se la lasciava fare da lui come da Lucrezia e da Chiara; non andava più in casa di nessuno, non potendo più salire scale; ma dettava legge ai nipoti, se ne serviva in tutti i modi, e se qualcuno di costoro lo faceva andare in collera, egli cavava fuori, come donna Ferdinanda, un suo foglio di carta e lo stracciava in mille pezzi: «Neanche un soldo da me!...» La visita della nipote Teresa gli fece piacere; le figliuole non si lasciarono vedere, e la principessa spiegò alla ragazza che donna Lucia era «governante» dello zio.

Del resto, queste precauzioni erano inutili per Teresa. Ella non aveva curiosità sconvenienti, e quando comprendeva che le più grandi avevano da dirsi qualcosa,