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I Vicerè 47

carlo una quantità di persone che non si sapeva chi fossero: donna Ferdinanda, a udire i nomi annunziati da Baldassarre: Raspinato, Zappaglione, sgranava tanto d’occhi; don Blasco, da canto suo, soffiava come un mantice; ma il peggio fu verso sera, quando cominciò una vera processione «di tutti i sanculotti morti di fame», gridava il monaco al marchese, «che hanno scroccato o vogliono scroccar quattrini a quell’animale di mio fratello!» Mentre il duca dava udienza agli amici, l’Intendente Ramondino venne a far la sua visita di condoglianza al principe, il quale lo ricevè nella Sala Rossa, insieme col marchese di Villardita e don Blasco. Questi, dimenticando che a San Nicola stavano per serrare i portoni, fece una terribile sfuriata contro l’agitazione dei quarantottisti; ma il rappresentante del governo, stringendosi nelle spalle, pareva non desse importanza ai sintomi di cui si buccinava: in verità, a Palermo avevano arrestato qualche facinoroso; ma, al fresco, le teste calde si sarebbero subito sedate.

― Perchè non fate venire altra truppa? Perchè non date un esempio?... Il bastone ci vuole: sante nerbate!

Il monaco pareva inferocito; ma il capo della provincia stringevasi nelle spalle: bastavano i soldati della guarnigione; non c’era paura di niente! Del resto, più che sulle baionette, il governo faceva assegnamento sull’influenza morale dei ben pensanti.... L’elogio era diretto al principe, che se lo prese; ma don Blasco girava gli occhi stralunati come se, avendo un boccone di traverso, facesse sforzi violenti per inghiottirlo del tutto o vomitarlo.

― E il testamento della felice memoria? ― disse l’Intendente, curioso anche lui come tutta la città.

― Sarà aperto domani....

Entrò a un tratto il duca che strinse la mano all’Intendente e gli si mise a sedere a fianco. Allora don Blasco s’alzò rumorosamente per andar via. E nell’anticamera, al marchese che lo accompagnava:

― Capisci? ― gridò. Tutto il giorno coi sancu-