Pagina:I promessi sposi (1825) I.djvu/150

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dei vini: censui, et in eam ivi sententiam che un liquor simile non si trova in tutti i ventidue regni del re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e diffinisco che i pranzi dell’illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene di Eliogabalo; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo palazzo, dove regna e siede la splendidezza.”

“Ben detto! ben diffinito!” gridarono in coro i commensali: ma quella parola, carestia, ch’egli aveva gittata a caso, rivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui andavano d’accordo, almeno nel principale; ma il fracasso era forse più grande che se vi fosse stato disparere. Tutti parlavano in una volta.

“Non c’è carestia,” diceva uno: “sono gli ammassatori che...”

“E i fornai,” diceva un altro, “che nascondono il grano. Impiccarli.”

“Sì bene, impiccarli, senza misericordia.”

“Dei buoni processi,” gridava il podestà.

“Che processi?” gridava più forte il conte Attilio: “giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che per la voce pubblica son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.”

“Esempii! esempii! senza esempii non si fa nulla.”