Pagina:I promessi sposi (1825) III.djvu/152

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“A questo modo,” disse Agnese, “anch’essi potrebbero dir lo stesso di noi.”

“Tacete, tacete,” disse don Abbondio: “che già le chiacchiere non servono a nulla. Quel ch’è fatto è fatto: ci siamo, bisogna starci. Sarà quel che vorrà la Providenza: il cielo ce la mandi buona.”

Ma fu ben peggio quando, all’entrata della valle, vide un buon posto di armati, parte sull’uscio d’una casa, e parte a quartiere nelle stanze terrene. Li guardò sottocchio: non eran quelle facce che gli era toccato di vedere nell’altro doloroso suo ingresso, o se ve n’era di quelle, elle erano ben mutate; ma con tuttociò, non si può dire che noia gli desse quella vista. — Oh povero me! — pensava egli: — ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere altrimenti; me lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualità. Ma che cosa vuol fare? vuol far la guerra? vuol far il re, egli? Oh povero me! In circostanze che si vorrebbe potersi riporre sotto terra, e costui cerca ogni via di farsi scorgere, di dar nell’occhio; par che li voglia invitare! —

“Vede mo, signor padrone,” gli disse Perpetua, “se c’è della brava gente qui, che ci saprà difendere. Vengano adesso i sol-