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496 i promessi sposi


“Gli è perchè le ho viste io quelle facce,” scappò detto a don Abbondio; “le ho sentite io quelle parole. Vossignoria illustrissima parla bene; ma bisognerebbe esser ne’ panni d’un povero prete, e essersi trovato al punto.”

Appena ebbe proferite queste parole, si morse la lingua; s’accorse d’essersi lasciato troppo vincere dalla stizza, e disse tra sè: — ora vien la grandine. — Ma alzando dubbiosamente lo sguardo, fu tutto maravigliato, nel veder l’aspetto di quell’uomo, che non gli riusciva mai d’indovinare nè di capire, nel vederlo, dico, passare, da quella gravità autorevole e correttrice, a una gravità compunta e pensierosa.



“Pur troppo!” disse Federigo, “tale è la misera e terribile nostra condizione. Dobbiamo esigere rigorosamente dagli altri quello che Dio sa se noi saremmo pronti a dare: dobbiamo giudicare, correggere, riprendere; e Dio sa quel che faremmo noi nel caso stesso, quel che abbiam fatto in casi somiglianti! Ma guai s’io dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui, per norma del mio insegnamento! Eppure è certo che, insieme con le dottrine,