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546 i promessi sposi

cardinale, dando retta alla sua prosa come ai versi dell’Achillini, se ne ritornarono col grosso dell’esercito, lasciando soltanto sei mila uomini in Susa, per mantenere il passo, e per caparra del trattato.



Mentre quell’esercito se n’andava da una parte, quello di Ferdinando s’avvicinava dall’altra; aveva invaso il paese de’ Grigioni e la Valtellina; si disponeva a calar nel milanese. Oltre tutti i danni che si potevan temere da un tal passaggio, eran venuti espressi avvisi al tribunale della sanità, che in quell’esercito covasse la peste, della quale allora nelle truppe alemanne c’era sempre qualche sprazzo, come dice il Varchi, parlando di quella che, un secolo avanti, avevan portata in Firenze. Alessandro Tadino, uno de’ conservatori della sanità (eran sei, oltre il presidente: quattro magistrati e due medici), fu incaricato dal tribunale, come racconta lui stesso, in quel suo ragguaglio già citato1, di rappresentare al governatore lo spaventoso pericolo che sovrastava al paese, se quella gente ci passava, per andare all’assedio di Mantova, come s’era sparsa la voce. Da tutti i portamenti di don Gonzalo, pare che avesse una gran smania d’acquistarsi un posto nella storia, la quale infatti non potè non occuparsi di lui; ma (come spesso le accade) non conobbe, o non si curò di registrare l’atto di lui più degno di memoria, la risposta che diede al Tadino in quella circostanza. Rispose che non sapeva cosa farci; che i motivi d’interesse e di riputazione, per i quali s’era mosso quell’esercito,

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