Pagina:I versi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante Alighieri, Venezia, 1845.djvu/67

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Sì; ma in carme laicale, e il clero sprezza
Quanti, eguali anche sien, mille i dialetti.
Arroge: niun di lor, cui sesto assidi,
Nè quegli, cui nel ciel tieni sì presso,
25In lingua popolar scrisse giammai.
Lo perchè liberissimo censore
Di vati parlerò; se pur al dire
La briglia alquanto d’allentar concedi.

Prodigo a’ porci non gittar le perle,
30Nè manto vil prema le Dee Castalie.
Ben ti prego cantar cose, che illustre
Te possan far con verso a tutti conto.

Chè molte già dal tuo narrar la vita
Chiedon le imprese. Or via, narra di Giove
35Dove al ciel si levò l’Aquila ultrice;
Narra su via quai fiori e quali gigli
L’arator franse; da canino dente
Narra le frigie damme lacerate,
Narra i liguri monti, e di Partenope
40Le flotte con tal carme, onde tu possa
Toccar d’Alcide le colonne, e l’Istro
Usato a refluir ti legga e ammiri,
E te il Faro conosca, e te l’antico
Della misera Dido estinto regno.
45Se la fama ti giovi, a breve cerchio
Contento non starai, nè ti fia grato
Di giudice vulgar cogliere il plauso.