Pagina:I versi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante Alighieri, Venezia, 1845.djvu/93

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A. Ed ei cantava: che le menti umane
     S’ergano al ciel, d’onde ebber vita, i corpi
     25Ad animar; che piaccia ai bianchi cigni,
     Lieti del suol palustre e del mit’aere,
     Il Caistro sonoro empir di canti;
     Che s’accoppii del mare il pesce, e al mare
     Tolgasi, come in sul confln di Nereo
     30Arriva a delibar l’onda del fiume;
     Che delle ircane tigri il sangue tinga
     Del Caucaso le rupi, e il libio serpe
     Con sue squamme di sabbie agiti i monti;
     Non ne stupisco io già: piace ad ognuno,
     35Titiro, ciò che al genio suo risponde.
     Ben di Mopso io stupisco (e meco tutti
     Quanti alberga pastori il suol Sicano)
     Che gli piaccian dell’Etna i nudi sassi.
     Spelonche di Ciclopi. —

M.                                Egli avea detto,
     40Ed ecco che anelante, e in sudor tutto,
     Arriva Melibeo, cui non appena:
     Ve’, Titiro sclamò, dieronsi i vegli
     Dell’ansia giovanile a far gran risa,
     Come i siculi un dì le fer, veggendo
     45Dallo scoglio divelto il buon Sergesto.

T. Titiro, il vecchio, allor dal verde cespo
     Levò il crine canuto, e a lui, che molto
     Ancor soffiava dall’aperte nari,
     A dir imprese: Giovanetto ah troppo!
     50Qual mai nuova cagione in tanto corso