Pagina:I versi latini di Giovanni del Virgilio e di Dante Alighieri, Venezia, 1845.djvu/97

Da Wikisource.

     Al mormorar simil di surte canne;
     Dico a quel mormorar che feo solenni
     Le turpissime un dì tempie del rege
     Che, di Bromio al voler, le del Pattolo
     80Arene tinse? — Ma te chiamin pure,
     O fortunato veglio, al lido infausto
     In cui tutte sue lave Etna riversa;
     Al mendace favor non prestar fede.
     Delle Driadi del loco, e del tuo gregge,
     85Qui dove sei, pietà ti prenda almeno.
     Te i gioghi, e i nostri colli, e te lontano
     Piangerian questi fiumi, e queste Ninfe,
     Meco tementi di peggior ventura;
     E l’invidia cadria, ch’ora a noi porta
     90Pachino istesso, e noi pastor pur anco
     D’averti conosciuto avrem dispetto.
     Ah veglio fortunato! ah non volere
     Del tuo nome vivace i noti paschi,
     E vedove lasciar le note fonti!

T. 95O più che la metà di questo petto
     (E il suo toccò) parte a me cara, Mopso,
     Il d’anni grave Titiro ripiglia,
     A me di pari amor congiunto in elle
     Che timide fuggiro a Pireneo
     100Male caduto, Mopso che le rive
     Del Pò mi vede a destra, ed a sinistra
     Il Rubicone, dove l’Adria chiude
     Dell’Emilia il tener, egli mi esalta
     Dell’Etna i paschi, ed ei non sa, ch’entrambi