Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1930 – BEIC 1854317.djvu/55

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Ecco lo verno che viene piovuso,
diventa lotuso — e rio gir d’entorno;
venti, freddura e neve per uso
a l’omo è noioso — per far suo sogiorno:
non è nel monno — tempo che piaccia,
140e questa traccia — non è mai finita.
Ecco la state che vien con gran calde,
angustie grande — con vita penosa:
de giorno le mosche d’entorno spavalde,
mordendone valde, — che non ne don posa;
passa sta cosa — ed entra la notte:
146le pulce son scorte — a dar lor beccata.
Stanco lo giorno giame a letto,
pensava l’affetto — nel letto posare:
ecco i pensieri, lá ov’era retto,
aveanme constretto — a non dormentare;
or al pensare, — volvendome entorno,
152tollendome el sonno, — per molte fiata.
Fatto lo giorno, ed io arcomenzava;
qual piú m’encalzava, — quella prendea:
non venia fatta conio pensava,
adolorava — che nolla compia;
el di se ne giá, — ed ecco la notte
158a darme le scorte — coni’ el’ era usata.
Compita l’una, ed eccote l’altra;
e questa falta — non potè fugire:
molte embrigate enseme m’ensalta,
pegio che malta — è’l mio sufferire:
o falso desire, ed o’ 11l’hai menato,
164ché si tribulato — passo mia stata?
Cusi tribulato vengo a vecchieza,
perdo belleza, — ed omne potere;
devento brutto perdendo netteza,
grande splaceza — dá el mio vedere:
ed opo m’ è gire — per forza a la morte,
170a prender le scorte — che dá en sua pagata.