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soave Paolina Conti-Carotti, Ispettrice delle Scuole Leopoldine, il signor Alessandro Paggi, di cui ricordo con tenerezza un atto di squisita bontà. Volendo concorrere in parte alle spese delle esequie, mi regalò un


    ligenza erano sempre a disposizione di coloro che soffrivano. Narro un gentilissimo pensiero di lui.
    A me era morta, da quasi un anno, la madre, e io soleva dire piangendo a quest’uomo ohe fu il consolatore e il benefattore nostro in quei giorni di dolore:
    — Veda, amico, io non posso pensare al 26 novembre, giorno in cui finisce l'anno dalla perdita irreparabile. Chi mi darà la forza di trascorrere quella angosciosa giornata! — Oh, Dio sarà con Lei, non dubiti — mi rispondeva.
    La mattina del 26 ero tuttora in letto, quando mi fu recapitato un grosso plico. Riconobbi sulla sopraccarta la calligrafia del Dazzi. — L’aprii e ci trovai un visibilio di manoscritti e di stampe, accompagnate da questa letterina:
    «Debbo per questa sera rimettere tutta questa roba, corretta, all’editore Paggi: e non ho un momento di tempo. Vuole occuparsene Lei! Creda che farebbe un immenso favore al Suo ecc.».
    Com’è facile a supporsi, mi misi immediatamente al lavoro, lieta di potere essere utile al mio maestro: le ore fuggirono, fuggirono in quel lavoro febbrile, non interrotto neppure per un minuto. La sera era finito e potei consegnarlo, non senza un certo sorriso di trionfo al buon professore. In quel mentre, non ricordo più da chi venne detto che quel giorno era il 26 ... Io gettai un grido e guardai il Dazzi che mi disse dolcemente: — Vede, poverina, se Dio l’ha aiutata!
    Gli strinsi la mano prorompendo in singhiozzi. Ma quei singhiozzi non erano né amari né disperati.
    Essi benedicevano alla santità del lavoro e all’ingegnosa carità di un uomo di cuore.

    Il Dazzi dava lezione d’italiano a una giovinetta molto, molto povera, che un giorno doveva acquistarsi un certo