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Mi rivedo ancora, con le scarpine scollate, col famoso vestito di gingas, insaldato al punto da trasformarmi in un vero pallone, e con la gran paméla1 in capo, guarnita con un largo nastro scozzese, le cui staffe, lasciate piuttosto lunghette, sventolavano allegramente a destra e a sinistra: mi rivedo ancora, per la mano alla mamma che faceva ogni sforzo per nascondermi la propria commozione e infondermi coraggio.

— Gli zii sono avvisati — mi diceva con voce tremante — e ti aspetteranno a Porta Fiorentina, dove il Carmagnini ti farà scendere. Guarda di non inciampare e di non strapparti la trina delle mutandine. Consegna subito il fagotto allo zio e mostrati allegra, di buon umore. Lungo la strada non ti spenzolare dal fìnestrino; pensa che a volte pesa più la testa... del... del... in somma di tutto il resto della persona. La medaglina al collo ce l’hai: fatti coraggio! Eccoci arrivati!

Risparmio alle pazienti lettrici il racconto delle supreme raccomandazioni al buon Carmagnini, e lo strazio dell’ultimo addio. Tanto io che la mamma piangevamo come due viti tagliate e per un bel pezzo di strada, fintantochè la diligenza non iscantonava, io seguitavo ad agitar la pezzolina bianca....

Appena uscita all’aperto, fuori delle strade tortuose e buiette di Firenze vecchia, mi passavano tutte le malinconie, tutte le tristezze, e mi beavo nella contempla-

  1. Di queste famose paméle hanno conservato la foggia le popolane senesi.