Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/321

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246 parte prima

versati ner Sanscrito, nel Tibetano, nell’Uiguro e nel Cinese, che rivedessero le traduzioni già fatte: e un tal lavoro durò dal 1285 fino al 1289.1

Abbiamo visto che dal Magadha il Buddhismo pel Cascemir si propagò fra i popoli dell’Asia centrale fino ai confini occidentali della Cina, e per mezzo del Ceylon a gran parte delle genti della Penisola Indo-Cinese. Il Tibet invece, difeso a sud-ovest dall’Imalaia, a settentrione dalla catena del Kuen-lun, rimase per molto tempo chiuso al proselitismo buddhico; solo molti secoli appresso, uscito dalla barriera, in cui lo aveva posto natura, si associò alle riforme morali e civili, che avevano già trasformate in meglio le popolazioni circonvicine. Le tradizioni mongole narrano, che il Buddhismo incomincia a conoscersi nel Tibet l’anno 367 d. C. Certi libri apparvero colà miracolosamente; e dopo quasi trecent’anni che si conservavano incompresi, un re per nome Srong-btsan-sganbo inviò nell’India (632 d. C.) alcuni suoi ministri per avere un alfabeto, col quale la lingua tibetana potesse scriversi, e per tale mezzo la religione di Çâkyamuni potesse essere sparsa fra il popolo. Comunque sia, egli è un fatto che appunto in questo tempo, cioè regnando in Cina l’imperatore Khao-tsung dei Thang, i Tibetani uscirono come conquistatori dai loro confini naturali; fecero guerra al Regno di Mezzo, invadendolo in parte; e poi per la valle del Brahmaputra, scesero nel Bengal. Le traduzioni tibetane dei testi sacri furono appunto fatte in questo torno, vale a dire fra l’viii e il ix secolo dell’èra cristiana; e gli originali che servirono a tali versioni, furono i libri sanscriti delle collezioni che si conservavano nel Nepal, provenienti dal Magadha, fino dal iii secolo, originali che furono, come dicemmo (v. p. 222), scoperti e studiati dall’Hogdson.

Le scritture tibetane, che riferisconsi alla religione buddhica, si comprendono in due grandi raccolte, le quali portano il nome di Bka’-’gyur e Bstan-’gyur: nomi che da sè stessi


  1. S. Julien, Mel. de Géog. Asiat. et de Phil., p. 221-22.