Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/558

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parte seconda 481

invece ambisce acquistare; colui che si mantiene sempre nell’inazione è sicuro di giungere in ogni cosa a prospero fine. Dimanierachè il Cielo e la Terra, in virtù dell’inazione loro, fan nascer gli uomini, gli animali e tutto quel che esiste». — «Il Tao non parla, e nondimeno lo Yin e lo Yang spandono per la terra i loro germi fecondi. Il Cielo e la Terra non parlano, e pure le quattro stagioni seguono il loro corso regolare, e ogni essere viene alla vita. Il Tao e la Virtù sono inerti, e non ostante il Cielo e la Terra danno alle creature quel che loro conviene al loro perfetto incremento».1 Il Santo dunque neppur esso opera, affine di non turbare lo spontaneo procedere delle cose secondo natura.2

Lao-tse si vuole sforzare di rendere evidente, quanto più è possibile, il vantaggio dell’inazione. Ma nel mondo, dove tutto è moto, vita e lotta, era difficile trovare un immagine della quiete assoluta; eppure il nostro filosofo trovò qualcosa che dà, secondo lui, un’idea dell’utilità del «non-operare», dell’opportunità e convenienza dell’inazione. Qualità che s’avvicinano all’inazione, sono la debolezza, la docilità, la compiacenza. I Cinesi hanno una parola, jo-jou, che riunisce in un concetto solo tutti i detti requisiti; e Lao-tse l’adopra di continuo, per far vedere l’eccellenza, a cui giungono le persone o le cose che hanno siffatta virtù. Le lodi di questa qualità, sorella dell’inazione, sono frequentissime nel nostro testo; essa è portata, per così dire, a cielo, con una serie di paradossi; i quali, come avvertimmo, abbondano in questo singolare monumento dell’antica letteratura cinese, che


  1. Tao-tê-king, commento al cap. xliii.
  2. Ibidem, lxiv.