Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/561

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484 parte seconda

reprime se il desiderio di far qualcosa lo prende. Si libera da ogni legame; cerca di offuscare la sua intelligenza: si fa simile al volgo. Nel mondo tutto è indifferente per lui: e la felicità e la sventura, la povertà e la ricchezza, la gloria e l’ignominia non mutano la tranquillità del suo animo».1 — «In antico colui che praticava il Tao era così pien di mistero, che mi sarebbe impossibile di farlo del tutto conoscere. Non di meno mi sforzerò di darne un’idea. Egli era timido, come chi d’inverno s’accinge a guadare un fiume; incerto e timoroso, come se gli occhi di tutti fossero addosso a lui: grave pertanto e dignitoso, come uno straniero dinanzi al suo ospite. Egli era come un pezzo di ghiaccio che si dilegua e si disfà a poco a poco;2 ma il suo carattere era naturale e rozzo, come legno non lavorato. Egli non possedeva nulla: era come un essere vuoto: sembrava circondato di tenebre e privo d’intelligenza; si confondeva col volgo, e le sue azioni parevano non differire da quelle della comune degli uomini».3

Quantunque il nostro testo affermi, che «colui, il quale cammina pel Tao, non lascia traccie»,4 pur non ostante il Santo che pratica il Tao è proclamato modello all’universo mondo. — «Il Santo che possiede e conserva l’Unità (il Tao), è specchio al mondo. Egli non si pone


  1. Tao-tê-king, cap. lvi.
  2. «L’uomo appena nato, dice il commentatore, è come un gran vuoto; a poco a poco si condensa e prende corpo, in quella maniera che l’acqua diventa ghiaccio. Perciò colui che pratica il Tao procura di liberarsi del corpo per rendersi all’essenza primitiva, come il ghiaccio si fonde per divenire acqua».
  3. Tao-tê-king, cap. xv. — Così intendono alcuni commentari l’ultimo passo di questo brano, del resto assai oscuro nel testo.
  4. Ibidem, cap. xxvii.