Pagina:Il Buddha, Confucio e Lao-Tse.djvu/568

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parte seconda 491

In quanto alla pena di morte, sarà anche facile argomentare che Lao-hün era propenso a crederla inutile. Ecco come espone un commentatore il luogo del testo risguardante cosiffatto soggetto: — «Questo capitolo si propone di dimostrare l’inefficacia delle leggi penali. Se il popolo temesse da vero la morte, il timore di quella potrebbe trattenerlo dal mal fare. Ma invece i delitti aumentano, quanto più aumentano i gastighi e le esecuzioni capitali. Chi più de’ principi della dinastia dei Thsin usò supplizi atroci per frenare i rivoltosi e i ribelli?; e qual numero di ribelli e di masnadieri ci fu maggiore, che in que’ tempi sventurati? Il popolo non teme la morte; perchè dunque spargere inutilmente il sangue, quand’osso non giova a ristabilire l’ordine e la tranquillità nello Stato? Il Cielo soltanto è arbitro sapiente della vita degli uomini; come soltanto il boscaiolo esperto può tagliare gli alberi della foresta. Se tu vorrai fendere il tronco d’un albero, senza saper tener l’ascia in mano, correrai rischio di tagliarti un piede. I principi non sanno distribuire la morte: sono boscaioli inesperti che fallano i colpi a lor danno».1

Altri pensieri risguardanti il governo, i quali io non starò ad arrecare qui, si trovano nel Tao-té-kìng. Ce ne son de’ bizzarri, e ce ne sono de’ veramente giusti; ma tutti addimostrano la singolarità dell’ingegno di questo filosofo. Riferirò due soli passi, per terminar l’argomento, che meritano d’esser conosciuti. — «Colui che vuol governare un popolo, deve far come chi vuol friggere un piccolo e delicato pesciolino».2 Il commentatore si


  1. Tao-té-king, cap. lxxiv e commento.
  2. Ibidem, cap. lx.