Pagina:Il Politecnico.djvu/7

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queste Provincie oramai non potrebbe più conservare l’invidiata sua prosperità. E una nuova trasformazione di quell’industria che perseverando per venti secoli, ha già potuto recare questa nostra terra Insubrica dallo stato suo primitivo di sabbia o di palude a quello di una incomparabile feracità; di quell’industria che alla primitiva nostra povertà potè sovvenire introducendo i prati invernali, il riso, il grano turco, il grano saraceno, la patata, l’olivo, il limone, e soprattutto il gelso, tuttociò insomma che porge sussistenza al povero e delizie al ricco. Se da tre secoli le nostre manifatture hanno ceduto alla maggiore attività d’altre nazioni, se abbiamo in gran parte perduto gli opificj delle lane, dei lini, e degli acciaj, contiamo ancora tra Milano e Como più di settemila telaj da seta; e nella sola provincia di Milano contiamo sparsi fin nelle più sterili brughiere settantamila telaj da cotone, industria che può dirsi nuova: le opere del ferro sembrano doversi rianimare col soccorso delle ligniti e coi nuovi ritrovati stranieri, e una folla di nuove manifatture tenta levarsi d’ogni lato. Possa il Politecnico arrecare qualche eccitamento e qualche utile consiglio ad una generazione intraprendente, da cui lo Stato sembra potersi attendere nuovi incrementi di opulenza e di splendore.