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lac d’amour 17

vicina al manicomio dove sua moglie stava morendo. Che mai poteva contenere la busta suggellata? Certo uno scritto suo; ma quale? Una confessione, probabilmente, delle sue colpe. Il concetto e la forma dell’atto rispondevano bene al suo misticismo innato, al predominio della sua fantasia sulla ragione, alla sua fisionomia intellettuale. Tre anni erano corsi dal giorno in cui Jeanne, disperata, a Vena di Fonte Alta, si era detto che non avrebbe più voluto amare Piero e che niente altro mai avrebbe potuto amare al mondo. Ancora lo amava così e ancora, come in passato, lo giudicava col suo intelletto indipendente dal cuore: indipendenza cara al suo orgoglio. Lo giudicava severamente in tutte le sue azioni, in tutto il suo contegno, dal momento in cui lo aveva conquistato di viva forza nel monastero di Praglia sino al momento in cui le loro labbra si erano congiunte presso la vasca dell’Acqua Barbarena. Egli si era mostrato incapace di amare, incapace di agire, irresoluto, femmineo nella mobilità dell’animo. Ecco, lo era stato fino all’ultimo, femmineo; femmineo, inetto ad esercitare alcuna critica virile sul suo isterismo mistico. Vi era forse in questo giudizio una sincerità imperfetta, un eccesso di acerbità voluto, un proposito vano di ribellione contro il prepotente, invincibile amore.

Se si era fatto frate, Jeanne prevedeva che si sarebbe pentito. Era troppo sensuale. Passato un