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434 capitolo ottavo


Jeanne si era coperto il viso colle mani e taceva. Selva credette bene di suggerire speranze. L’accesso poteva non ritornare, poteva esser vinto. Ella scosse violentemente il capo ed egli non osò insistere. A un tratto le parve udire Chieco prender congedo. Trasalì, scostò le mani dal viso spettrale fra i capelli scomposti. Invece scoppiarono le prime allegre note del Curricolo napoletano, il pezzo che Chieco suonava sempre per ultimo. Ella balzò in piedi, parlò convulsa, senza lagrime:

«Selva, so che Piero muore, so che non s’inganna. Lo faccia restare dov’è, s’è possibile. Gli conduca i suoi amici, me lo giuri che glieli condurrà, che gli procurerà questo conforto. Dica tutto ad essi di me, dica loro la verità, dica loro quanto è puro, quanto è santo, Piero. Io aspetto qui. Non mi muovo. Andrò quando Lei mi dirà, dove lei mi dirà. Sono forte, vede, non piango più. Telegrafi a don Clemente che il suo discepolo muore e che venga. Facciamo tutto quello che dobbiamo fare. È tardi, vada. E Lei già in un modo o nell’altro lo vedrà, Piero, stasera. Gli dica...»

Qui un colpo di spasimo ruppe la parola. Chieco entrò zufolando, battendo palma a palma nella sua bizzarra maniera e Selva scivolò fuori dell’uscio. Jeanne gli corse dietro nel corridoio scuro, gli afferrò una mano, v’impresse un bacio frenetico.