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470 capitolo nono

per me. — A rivederci in paradiso. — Chi passando davanti lui piegava il ginocchio in silenzio, chi toccava il letto e si faceva il segno della croce, chi gli raccomandava sè o persone care, chi gli diceva benedizioni. Uno gli domandò perdono di aver creduto ai suoi calunniatori. Fu allora una sequela di «anche a me, anche a me.» Passò la gobbina di via della Marmorata, cominciò a raccontargli piangendo che il suo vecchio prete si era confessato e avrebbe voluto dirgli tutta la sua gratitudine. Chi seguiva la spinse via ed ella passò per sempre dagli occhi di lui. Tanti così gli passarono davanti l’ultima volta e piangendo si allontanarono da lui per sempre, ch’egli aveva consolati nello spirito e nel corpo. Molti ne riconobbe e salutò col gesto. Quelli giravano via pure girando il volto lagrimoso continuamente a lui. La fila che scendeva sfiorando sulla scaletta la fila che saliva, le antecipava le impressioni della camera dolorosa. — Ah che viso! — Ah che voce! — Dio, muore! — È un angelo di Dio! — Vedrete! — Ci ha il paradiso negli occhi! — E non pochi mormoravano maledizioni agl’infamacci che lo avevano calunniato, non pochi parlavano, fremendo, di veleno e di assassinio. Dio, portato via dai questurini, ritornava così! Un lugubre tuonare continuo e il gran pianto uguale della pioggia coprivano i sussurri pietosi e irosi.