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DEL FRANCO. 119

CIII.


D’Arezzo l’ortolan sacro e famoso,
     Nell’orto suo le fave seminando
     Disse; prendi o terren quel che ti mando,
     4E lieto il dón raccogli e desioso.
Entro ’l tuo seno si rimanga ascoso,
     Finchè per ogni frutto che ne spando,
     Io mille ne raccolga, nè sia quando
     8Guardo gli scemi d’occhio malíoso.
Picciole o grandi ch’io spargendo vada
     Nè tutte uguali, e del valor più noto
     11Com’al desir, ed alla mano aggrada,
Sia ciascheduna il grembo tuo divoto,
     Che per rendersi colmo in ogni strada
     14Tutte fien buone per empirne il vóto.


CIV.


L’ortolano Aretin, che fissa e intenta
     Ha tutta nel piantar la nobil cura,
     Per dar all’erba sua ferma verdura
     4Par che dica a tutt’ore e non sen penta.
Verdeggi, prego, o ciel, la cara menta,
     E nel dì cresca e nella notte oscura,
     Nè di gelo unqua oltraggio, nè d’arsura
     8Distemprato vapor fia ch’ella senta.
Da lei sia lunge ogni contraria froda
     Di maligno furor, nè tarlo ascoso
     11Nella radice la trafigga o roda.
Sì, che lieto di lei viva e giojoso,
     E i suoi bei frutti in ogni tempo goda
     14Nell’asciutto non men che nel piovoso.