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150 LA PRIAPEA

CLXV.


M’è forza, s’io crepassi, a non tacere,
     Come quell’Aretino gaglioffazzo
     Ha voluto oggi, ch’io gli presti il cazzo
     4Per cacciarselo in bocca a suo piacere.
Ond’io, per non restarmi da vedere
     Cosa peggior nel secolo tristazzo,
     Non ho curato per restarne pazzo
     8Contro mia voglia averli dato a bere.
Mai non avrei pensato che a un divino
     A quest’ora piacesse l’allattare
     11E il suggere a guisa di bambino.
Dunque, che cosa è da maravigliare,
     E di che gridan più, se ha l’Aretino,
     14La peggior bocca che si può trovare?


CLXVI.


Se scriverai un A, e poi seguendo,
     Un R, un E, un T, scrivendo appresso
     Un I, un N, un O, potrai tu stesso
     4Comprender chiaro quel ch’io dirti intendo.
Frate, risponderai, non ben comprendo
     A che fine un tal nome quì m’hai messo,
     Donde si può formar un gran processo,
     8E duecent’anni spendersi scrivendo.
Ed io rispondo ch’a buon fine è stato,
     Nè son fuor di proposito nè pazzo
     11In averlo per cifra nominato.
Perchè non vuò ch’intenda ogni asinazzo
     Il nome di colui, ch’ha ritrovato
     14La nuova salsa di poppare un cazzo.