Pagina:Il buon cuore - Anno X, n. 04 - 21 gennaio 1911.pdf/5

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d’aurora, lieta e viva: condizione, questa, che dispone alla fede, che è luce di meriggio, ma che non dà sempre le ansie e le angoscie di desiderio che sanno dare, talvolta, le tenebre: onde coloro che nelle tenebre palpitano corrono alla luce colla violenza di una disperazione e le loro conversioni scoppiano come tumulti di dolore e di gioia, e come folgori, vibrando.

Alessandro Manzoni, invece, aveva nelle sue mature disposizioni al vero e al bene, un pegno di speranza ed insieme, un sottile pericolo di immobilità e di morte perchè il possedimento di una luce, benchè mite e tenue, se può dare i desiderii di una maggiore pienezza, può pure insinuare l’insidia dolce della soddisfazione, e sollecitare l’anima a star paga delle umane altezze raggiunte, senza anelare alle follie dei divini fulgori. Singolarmente lenta appare, quindi, e singolarmente ricca la germinazione di fede nuova e vivente nell’animo di lui: nel vigore pieno della sua magnifica e già virile giovinezza di pensatore e di artista, a venticinque anni, egli non poteva offrire al Dio risorto, se non la pienezza di tutta l’anima sua, egli doveva muovere verso il Divino risvegliato con tutte le energie pronte ed indocili del suo pensiero, della sua volontà, del suo sentimento, e non solo gettare il cuore nel fuoco del nuovo divampato amore, ma levare pure la fronte raggiante sotto la luce della verità e tendere le braccia anelanti all’annuncio di una milizia,

L’armi, qua l’armi....

E la fede apparve, quindi, allo spirito suo come un divino ed inatteso dono d’energia: onesto già era, è vero, Alessandro Manzoni, credente pur’anche, se deista s’era professato; poteva apparire, quindi, un’anima già così posseduta dal bene, che il dono della fede non avesse a sembrare se non un coronamento spontaneo, docile, necessario, che non tramutava un’anima ma piuttosto la confermava nella raggiunta maturità, che non le segnava sul cuore abissi di rinnovamento e di comporla e temperarla tutta ad una fiamma d’inattesa bellezza.

Eppure Alessandro Manzoni ebbe vivissimo e lo serbò intatto sempre, ininterrottamente fin presso la morte, il senso della totale rinnovazione che s’era operata nell’anima sua; vide anch’egli senza infingimenti di attenuazioni, che la sua via s’era spezzata, un giorno, e che una nuova via regale s’era incrociata sulla sua terra e che tutta l’anima s’era spostata procedendo e riguardando la luce di un nuovo cielo, l’oriente: — Lei forse non sa che fui incredulo — confessava, un giorno, a persona che gli ricordava il gran bene fruttificato dai suoi scritti religiosi — e propagatore d’incredulità, e con una vita conforme alla dottrina, che è il peggio. E se la Provvidenza mi ha fatto viver tanto, è perchè mi ricordi sempre che fui una bestia e un cattivo.... — Parole mirabili nelle quali non s’ha a risentire tanto la documentazione di traviamenti che, forse, furono o non furono così profondi, quanto, sopratutto, la coscienza sempre viva ed immediata del totale rinnovamento spirituale operato dalla fede; la prova sperimentale di quanto la fede e la vita religiosa appaiano radicalmente diversi non solo dallo stato d’incredulità
e dalla legge d’abiezione e di tenebre, ma puranche dallo stato di una credenza semplicemente filosofica, come il deismo, e da una legge semplicemente umana di bene e di onestà naturale.

Nella conversione di Alessandro Manzoni, anzi, la fede appare in tutta l’irriducibile originalità che la fa diversa e superiore d’ogni filosofia e d’ogni contemplazione della verità: perchè è solo colla fede che la cognizione filosofica si corona e s’irradia nel possedimento di una vita più piena, la vita della grazia, e la contemplazione si tramuta, ardendo, in preghiera e dai cieli alle terre, l’anima amante intreccia a Dio e con Dio, la meraviglia della parola e il colloquio ineffabile.

Come dalle opache tristezze del deismo il poeta nostro fosse condotto alla luce piena del vangelo cristiano noi non sappiamo, e la conversione restò il segreto geloso di Alessandro Manzoni. Una cosa sola egli rispondeva ai famigliari stessi che talvolta ebbero a domandargli, insistendo, i ricordi del suo appassionato ritorno: — Fu la grazia, la grazia di Dio!... — una cosa sola ripetono i biografi di Lui, dall’Abate Stoppani, che intorno ai Primi anni di A. Manzoni pubblicò note interessantissime, ora ristampate dal Cogliati, al prof. Cojazzi che in memoria del centenario dimenticato ha pubblicato, presso la libreria Torinese della buona stampa, la Morale Cattolica con ampie note illustrative e con intelligenti raffronti: e ripetono che coll’anno 1810 Alessandro Manzoni era divenuto cattolico.

Occasione immediata, la conversione dal protestantesimo al cattolicismo di sua moglie Enrichetta Blondel, e le acute discussioni religiose a lui ed alla moglie tenute dall’abate Degola: sottile problema sentimentale, questo dell’ardente conversione della compagna amatissima, al quale i biografi accennano appena, ma che dovette richiamare dal profondo l’anima vigile e pensosa di Lui: perchè la Biondel aveva anche sognato, forse, di ricondurre l’amato alla Chiesa abbandonata, facendola sua, ripudiando l’amaro calvinismo dei padri suoi:

.... Sentire e meditare....

Ma da questo sogno che procedeva da cuore a cuore, fu suscitata tutta l’attività spirituale dell’anima di Lui: il decennio che sussegui l’810 fu il decennio tipico della sua attività e la sua voce ritrovò più piena e gioconda la musa italica, da tanto tempo muta, degli inni religiosi, i cori gagliardi della rinnovata coscienza italica che ricongiungeva, nel rinascente romanticismo cristiano, i destini d’Italia colla fede, e rispondevano al grido disperato del povero poeta dolente....

l’armi, qua l’armi....

colle fanfare delle nostre vittorie e della nostra libertà,

S’ode a destra uno squillo di tromba

Di questo decennio di attività tipica è anche la Morale Cattolica, mirabile libro di controversia cristiana, che pur nelle occasioni di una polemica frammentaria lascia scoprire tutto un coerente e completo disegno di apologia filosofica: e se in esso s’ha da indagare la crisi di pensiero che sì sciolse, vittoriosa, nell’atto di fede, è il problema morale che appare sopratutto for-