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148 | IL BUON CUORE |
Al rinomato Istituto Grimm, che apri il suo splendido salone ad un’eletta schiera di signore, le quali poterono gustare un’artistica rappresentazione, squisitamente interpretata dalle brave alunne dell’Istituto stesso, a favore dell’Opera di Protezione, di cui disse, con calda e cordiale eloquenza, l’egregio amico, sig. Angelo Maria Cornelio.
Ai bravi dilettanti dell’Oratorio di via Signora, che offersero, anche quest’anno, una serata, ricca di pregi, a beneficio delle nostre giovani.
Agli enti morali, alla Cassa di Risparmio, alla Banca Popolare, al Banco Ambrosiano, al Municipio, che non ci dimenticarono nelle lor provvide elargizioni.
Alla Società «La Formica» che ci regalò 160 capi di vestiario utilissimi; a tutti i benefattori insomma, non solo ai più insigni, ma a quanti indistintamente, a seconda delle proprie forze e del proprio cuore, mostrarono di apprezzare e di aver cara l’Opera di Protezione, vada il nostro memore pensiero, la nostra gratitudine sincera e profonda! Sono centinaia e centinaia di giovani che benedicono riconoscenti a chi ha loro procurato lavoro e salvezza! E perciò il Comitato Milanese guarda all’avvenire con serena fiducia, persuaso di lavorare per una causa santa, il cui trionfo sarà tanto più fulgido, quanto maggiori saranno stati i sacrifici per essa compiuti.
La Presidente
Parravicini Stanga Contessa Carlotta.
La Segretaria
Giulia Crescini.
Religione
Vangelo della terza domenica dopo Pasqua
Testo del Vangelo.
S. GIOVANNI, Cap. 16.
Pensieri.
Diceva Gesù a’ suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico, piangerete e vi lamenterete; il mondo poi godrà.»
E proprio vero che il dolore sia il distintivo dei credenti e che solo i mondani abbiano per sè contento e gioia? L’esperienza dice di no. Se noi ci guardiamo intorno, vediamo che anche i mondani, spesso, piangono, piangono, anzi, lagrime cocenti più delle nostre e disperate anche; e pure i credenti hanno i loro sorrisi e le loro letizie.
Esser credenti non suole dire essere fatalmente poveri e miserabili. Eppure dice Gesù: «piangerete e vi lamenterete» e aggiunge «in verità, in verità ve lo dico!» Come si spiega questo?
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Quando una persona cara s’allontana da noi, noi risentiamo il dolore, il vuoto pel suo distacco; ma ci arride e ci sostiene la speranza del suo ritorno, la sicurezza del desiderio che essa ha di tornare a noi. Ma se ci arrivasse la notizia della sua morte, pur non avendo noi nulla perduto degli altri nostri beni, proveremmo un dolore, umanamente parlando, inguaribile e tutti gli altri beni nostri non ci sarebbero più cari, non ci toccherebbero più, sarebbero completamente svalutati agli occhi nostri. Qualcosa di simile è il dolore dei cristiani.
Gesù è lontano da noi, la nostra unione con Lui, con Dio è ostacolata da tante cose e, pur avendo agi, ricchezze, delizie noi non ne godiamo, perchè non godiamo pienamente, senza limitazioni, di ciò che solo è l’amore dei nostro cuore. La vita del cristiano deve essere umile e nascosta, come umile e nascosta è la vita di Cristo.
I mondani, che non hanno questo santo ardore di realizzare l’invisibile e l’eterno, che non cercano se se non le cose terrene e di esse si appagano, essi possono goderne e gioirne.
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Ma, prosegue Gesù, la nostra tristezza si cambierà in gaudio. Cristo è vivo: ecco il fondamento della nostra speranza e dalla completa unione con Lui, da raggiungere, ora, lottando per la virtù, avremo gioia inesauribile ed imperitura.
Cristo vive e la sua vita è la sorgente della speranza della letizia cristiana: la sua vita... tutto ciò che è vitale parla di letizia, la primavera fiorita, la gioventù ardente, la florida infanzia; e la vita di Cristo, che è la vita indefettibile e piena, dice gioia immensa ed eterna.