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il buon cuore 283
ferra e sperimenta le realtà trascendenti, inebbriata dal divino, dimentica anche i bisogni terreni.

Spettacolo meraviglioso che tutte le grandi anime offrono al nostro sguardo; spettacolo che se non si rinnova in forme esteriori, deve sempre rinnovarsi nell’intimo d’ogni anima cristiana. Non è necessario che si obliino i bisogni naturali, fisici, per esser devoti, ma è essenziale che essi non assorbano tutte le nostre cure, che siano a noi mezzi e non fini. Quando si vedon cristiani proni alla terra, incapaci, quasi, di uno sguardo, di un anelito verso il cielo, come non pensare che essi non avrebbero dimenticato certo il cibo per la parola di Cristo? Anche della pietà si è fatta una routine e l’entusiasmo, l’ardore che dà vita alla religiosità noi l’abbiamo dimenticato! Oh, coloro che venivano alla chiesa con l’anima grande, con l’esperienza della vita, del male, ma con cuore magnanimo, con propositi forti rinvigorivano l’energia dei fratelli, dove sono ai nostri giorni?

E che si fa per educare questa anima grande in noi negli altri?

Chi pensa ai bisogni del popolo è Gesù, lo spirituale per eccellenza. Chi è stretto con sè, è largo con gli altri; chi è pieno di spirito, di tutto si serve per arrivare allo spirito dei fratelli.

Tutte le anime più spirituali son sollecite così dei bisogni anche materiali del prossimo, anzi pare che la loro spiritualità affini la loro delicatezza per sorprendere le più piccole cure che in una data occasione si possono prodigare.

Queste anime generose, che nel commercio con gli uomini acquistano tratti e sollecitudini quasi materne, che beneficano amando e sorridendo, oh, essi sì son della scuola del Maestro che era dolce e mite di cuore compassionevole a tutti.

Educazione ed Istruzione


Dall’Alta Valtellina

Sondrio, 27.

Rovine e rimedî — Il Poggio della Giustizia — Un trasbordo degno di cinematografo — Mons. Vescovo di Como sui luoghi dei disastri.

Il lungo, straordinario periodo di siccità e i conseguenti calori canicolari hanno suscitato la reazione della natura sempre bisognosa d’equilibrio. Il cielo, inesorabilmente sereno da un mese, si è oscurato, il sole ha dovuto cedere alle nubi, che, tra spaventevoli scariche elettriche, si sono sciolte in tempeste e in pioggie torrenziali. I ruscelli son divenuti torrenti impetuosi, e i torrenti si sono trosformati in vorticosi fiumi. I ghiacciai si sono scossi dal loro letargo e hanno dato pure largo contributo alle arterie zampillanti, conduttrici delle acque dal monte al piano.

Questo vi scrivo dopo una fortunosa discesa dai Bagni Nuovi di Bormio, e vi scrivo da Sondrio, dove, dopo una notte di terrore, si respira e si pensa a riparare danni incalcolabili e anche a ridare la luce elettrica, la cui soppressione ha costretto tutti a ritornare ai primi onori le lucerne e i candelieri quasi preistorici.

La colonia milanese, sparsa a S. Caterina e ai Bagni Nuovi e Vecchi di Bormio non potrà mai dimenticare questi giorni. Al mattino di quella notte spaventevole, si constatò subito con meraviglia che il magnifico parco dei Bagni non aveva avuto il minimo danno; ma ogni comunicazione era interrotta e dai valligiani giungevano notizie impressionanti di frane, di smottamenti, d’inondazioni e di sventure. Un torrentello aveva intercettato la comunicazione tra i Bagni e Bormio, trasportando sullo stradone un mucchio immane di materiale da cui emergevano macigni tali da richiedere la dinamite nelle operazioni di sgombero. Notisi che il torrentello, disseccato da gran tempo, si era ridestato non solo per intercettare lo stradone provinciale, ma altresì per trascinare giù giù dei mucchi di limo alluvionale sulla sottoposta strada comunale parallela, fino al Poggio della Giustizia. Ma che giustizia? Giustizia di tempi barbari, dei tempi del dominio dei Bernesi, che processavano specialmente povere donne imputate di stregoneria e le condannavano al rogo su quel poggio segnalato ancor oggi con terrore. E non solo la tradizione attesta quanto scrivo: nell’Archivio di Bormio, insieme a preziosi cimeli, a pergamene e a volumi antichi d’inestimabile valore, si trovano centinaja di sentenze che furono eseguite sul Poggio della Giustizia.

Non è il caso di deplorare ora l’abbandono in cui è lasciato quell’Archivio, che contiene materiale interessantissimo. Pel momento voglio solo informarvi succintamente di sventure appena accennate, e debbo dirvi che ben più gravi erano le notizie pervenute subito dopo da S. Caterina: la colonia tutta era seriamente bloccata, specialmente per la caduta dell’antico ponte che metteva al famoso stabilimento. Più tardi, da un procaccia, si veniva anche a sapere che metà dell’alta valle rimaneva pure bloccata da un’enorme frana, la quale aveva fatto temere nientemeno che la distruzione di Bolladore.

Intanto le colonie sparse nei posti più alti trascorrevano ore indicibili, perchè le linee telegrafiche non funzionavano e più tardi veniva a mancare anche ogni comunicazione postale. Indescrivibile l’agitazione delle madri, che attendevano notizie famigliari o di cari malati, e d’altronde faceva contrasto la preoccupazione per i viveri, il timore di far la fine del conte Ugolino. Non mancavano i filosofi, e tra questi è da notarsi il distinto e venerando Mons. Antonio Ceruti, il quale, ai Bagni Nuovi, fiero dei suoi ottant’anni, dei suoi 58 anni di sacerdozio e del suo prossimo cinquantenario di dottorato alla biblioteca Ambrosiana, sorrideva a tutti e a tutti faceva coraggio con barzellette spiritose, confortando anche colle notizie raccolte nelle sue rapide esplorazioni verso la prima frana intercettante l’accesso a Bormio. Sono da notarsi altri personaggi che discutevano animatamente sul da farsi, e rammento l’onore-