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IL BUON CUORE 243


l’orecchie alla mano ed alla voce del fratello che per fame agonizza e muore: muore non sempre alla vita del tempo, ma alla vita dell’anima, giacche la fame l’ha spinto al delitto, al furto, all’azione — peccato....

E l’altro?

Vedetelo presso Gesù. Intorno a Gesù una turba si affanna, s’agita per la parola del vero, per il bene, per lo spirito: per questo l’han seguito da giorni: han lasciato le case, i parenti: ogni sacrificio par loro leggero, inadeguato alle sante e pure gioie dello spirito, lui solo non sente Gesù: la sua avarizia, il suo diritto alla quota d’eredità gli impedisce la carità fraterna, così ch’esso — che mai non senti i diritti dell’anima, nè per questi si commosse giammai — a Gesù si presenta pei beni materiali, turbato e sconvolto, riflettendo l’interna agitazione dello spirito. Oh! come tutto qui riesce spostato: il principale diviene secondario e quei beni che Dio dà, mezzo ad un progresso maggiore morale, riescono in questi due uomini, il fine e l’unico oggetto di loro cure e dei loro giorni....

Buon Dio! meritano poi così tanto e tanta cura?!

Davanti alla cura, generale studio, ansia degli uomini, non è ingenuità — ieri, oggi, domani — la teoria di Cristo?

La parabola fa una terribile domanda: quae parasti cujus erunt? ciò che curasti dove andrà domani?

Riflettiamo, amici, e rispondiamo.

Il mondo sogna il suo sogno grande.... la ricchezza. Gesù domanda il domani di questo sogno!... Chi ha ragione?

Interrogai il povero: sono terribili le spine dell’indigenza: sa di sale troppo amaro il pane sudato: più stride il freddo ed intirizzisce non difeso da ricche vesti, ma....

Osservai il ricco; dai suoi ampi forzieri guarda il domani sicuro e tranquillo: ogni capriccio gli arriva pronto: sui vizi suoi può chiedere anche ragioni, sulle sue debolezze benevolo e largo compatimento... il ricco... quante volte — esso pure — nell’alcove dorate, nel silenzio degli ampi saloni, confuso col fruscio delle seriche vesti, il ricco non s’asciuga una lagrima più amara disperata del povero, senza conforto, senza la gioia od il piacere d’una illusione.

Chi ha ragione? Il mondo o Gesù?

B. R.

Educazione ed Istruzione


La seconda giovinezza del Manzoni

Sposata la protestante Enrichetta Blondel, il Manzoni, come dicemmo, riparte con la nuova sposa e con la madre per Parigi; ritorna vicino al suo Fauriel, il quale seguitava a convivere, tra Parigi e la Maisonnette, con
la bella signora di Condorcet. E lavorava anche, il Fauriel; ma con quella sua incredibile lentezza di preparazione che doveva far di lui uno scrittore di opere postume. Egli non fa che cercare materiali e i suoi lavori non escono mai. Per dieci anni il Manzoni, in lettere che gli scriverà, seguiterà da presso e da lontano a chiedergli notizie del suo Dante, a cui l’altro attende, ma che non compie. Nell’aprile 1812, saputo che l’amico attende a una storia della rinascenza letteraria in Europa, il Manzoni gli scriverà da Brusuglio:

«Avvezzo a non udirvi parlare di queste cose, se non con idee profonde e nuove, non posso dubitare della importanza e di tutti i pregi del vostro lavoro; non mi resta che a desiderare di vederlo un giorno, poichè, sia detto senza dispiacervi, comincio un poco a capire quel che siano le vostre ricerche di materiali, le vostre correzioni; son cose alle quali voi, forse, date un po’ di quel tempo, che potrebbe già essere impiegato nello scrivere la vostra opera». Era tuttavia quel Fauriel un’amicizia ideale per il nostro: perfetta l’intesa delle anime, cordialissime le relazioni tra famiglia e famiglia; comuni molte idee e molti principi in fatto di letteratura, di religione e di politica; non sostanzialmente diverso il modo di vita, ritirato, tranquillo meditativo, con molta onesta passione per il vero e nessuna preoccupazione e ambizione di fama o di gloria. Ambedue erano uomini dagli ingegni ancora assai superiori alle opere; meglio noti a se medesimi reciprocamente che non agli altri ed al mondo. Erano, si può dire, due grandi uomini inediti; e due perfetti signori. Il Manzoni pareva portato unicamente alla poesia, ma anch’egli leggeva più che non componesse, e qualche lavoro intrapreso in passato cominciava quasi a pesargli, come il poemetto Urania, del quale scriveva nel gennaio 1809: «Non ho scritto undici sillabe dopo la vostra partenza; tuttavia, vado sbarazzandomene, perchè ne sono molto annoiato». E il Muxtoditi, scrivendo al Pagani, nel settembre, gli dava queste buone notizie di Alessandro: «Gode buona salute, studia, ed è reso beato dalla più pura felicità essendo figlio e sposo di due donne adorabili, e padre di una vispa e sana fanciulla».


La conversione della moglie.

Cade in quest’anno la conversione della moglie Enrichetta dal calvinismo al cattolicismo, e la petizione del Manzoni a S. S. Pio VII per il legittimo riconoscimento del suo matrimonio. «Alessandro Manzoni, cattolico del Regno italico, ed Enrichetta Blondel, di religione detta riformata della communione di Ginevra, riempite le formalità civili, sonosi congiunti in matrimonio innanzi ad un ministro della suddetta Religione riformata. Da tale unione è nata una fanciulla, la quale è stata battezzata cattolicamente, secondo il rito della Santa Romana Chiesa.

«L’Oratore cattolico, per qualche ostacolo, e per lo stimolo anche della concepita passione, mal volentieri sì ma pure s’adattò all’esposta celebrazione; ed ora è disposto a riparare il suo fallo secondo il principio della Santa Religione cattolica.