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390 IL BUON CUORE


Fu la vera donna forte e pia, vero esempio di virtù intemerate; ma la caratteristica della Marchesa Trotti fu appunto la carità nelle sue forme più nobili e insieme più umili. Quando dovette rinunciare per il malore che cominciava a dare i primi, gravi indizi, a prestar servizio d’onore alla benamata sovrana fu un vero dolore che ebbe un riflesso sincero nel sacrifizio di dover sospendere a poco a poco le visite sue provvide nelle corsie dell’Ospedale, nella soffitta del povero, nei laboratori operai, negli Istituti di beneficenza a lei più cari. • Non fece pesare a nessuno il suo dolore, il suu sacrifizio, se non nel sacrifizio di averla lontana, nel dolore di saperla sofferente. Non più vicina di persona alla Sovrana, la seguiva con devoto affetto nel ricordo delle gioje e dei dolori della Nazione di Casa Savoia e ne accolse con grato animo le visite confortatrici. Non più in grado di recarsi fra gli sventurati, i malati, i poveri, si avvicinò loro centuplicando il suo interessamento, il suo lavoro, la sua carità per essi. Confinata in casa, concentrò le cure più amorevoli intorno al dilettissimo consorte: più festosa quasi, accolse le figlie vicine e lontane, più grata ancora

  • che nei giorni lieti si circondò di amicizie salde e

provate. Tutta Milano e mezz’Italia _passò intorno, alla Marchesa: intelligenze elette, illustrazioni della politica, dell’arte, gentiluomini e galantuomini, dame popolane l’avvicinarono. Nella conversazione geniale, amichevole, vi ace colla Marchesa intelligente, colta e buona, appena ella s’avvedeva del pericolo che il discorso degenerasse in pettegolezzo, in maldicenza, senza nessuna ostentazione, con arte semplice e tutta sua che non offendeva nessuno e a tutti insegnava amore, ella divergevalo e lo portava o sul sano libro letto di recente o più facilmente, troncava con mite sorriso così: «Vuoi fare un’opera buona? ecco qui» e offriva dei biglietti in un modo che nessuno poteva nè avrebbe voluto rifiutare. La Marchesa pensava: «Se colle mani lavoro per i poveri, colla parola, posso, devo salvare altri deboli: gli assenti!» Se non si poteva dir bene di qualcuno, procurava che dinnanzi a lei non se ne dicesse male. Discorrendo, la Marchesa spessissimo lavorava. Lavori come dovessi guadagnarti la vita» k diecvano le amiche. Non a lei, ma a tanti infelici assicurava il pane col suo lavoro e quante altre mani fece lavorare il suo cuore generoso! Ma qualcuno, la Marchesa compiangeva anche più del povero stesso: il ricco che non sente il dovere, il conforto di dare: più ancora di esserne indignata, ne era addolorata. Così dedita alla carità, la Marchesa, con spirito illuminato, prima di dare il suo nome, il suo aiuto ad un’opera, voleva vagliarne lo scopo, il programma: sapeva che spesso il chiedere il suo nome eia

la via per ottenere un altro nome di cui il suo diveniva come l’ombra fida ed ella voleva esser ben sicura che il nome fulgido di Margherita di Savoia brillasse su opere di vero bene e non di sentimentalismo filantropico, di fittizio vantaggio pel povero. Ma, entrata in un’opera, se ne interessava non superficialmente, per breve momento: non l’abbandonava più: Ben disposta ad accogliere tutti i dettami di giusto progresso, giustamente temeva le novissime teorie che vorrebbero suggerire al povero, allo sventurato di rifiutare il sentimento della pietà, di emanciparsi dal dovere della gratitudine, insegnandogli solo diritti e reclamando per lui, solo giustizia, mentre ne fanno un illuso, una vera vittima! E come sapeva insegnare, interessarsi alle persone più giovani, incoraggiarle col consiglio, coll’esempio e, se sempre al suo cordiale, sorridente commiato: «Torna presto» si sentiva bisogno di risponder con un «grazie D, questo veniva più spontaneo, quando la sua preziosa benevolenza si era esplicata in una giusta osservazione, in un mite rimprovero! L’impresa di Libia aveva acceso nella figlia delta P.ssa Cristina di Belgiojoso, nella fida compagna del M.se Lodovico Trotti, del valoroso soldato di un tempo, del patriota dal carattere adamantino, il voto più ardente per la rinnovata grandezza d’Italia! Alle fiere di beneficenza, la M.sa Trotti in persona compiva prodigi, di carità e delicatezza. Fra la folla elegante che giungeva al suo banco, intravvedeva, per es. talvolta la Marchesa la donnicciuola del popolo che, inesperta e grata, veniva a lei che aveva conosciuto e apprezzato forse da un letto all’Ospedale: la capiva, la indovinava da lontano la Marchesa e sussurrava alle compagne di banco: «Tiremm giò i prezzi, tirem giò i prezzi D. E aspettava sorridente, faceva festa all’insolita cliente: questa comperava e partiva, soddisfatta, senza neppur sapere d’aver pagato due lire lo scialletto della Marchesa che ne costava cinque. E il cassiere non trovava nessun deficit: qualcuno aveva subito colmata la differenza e l’onda tranquilla e pura della carità sommergeva il piccolo atto gentile, noto solo ai vicini! Ma, quanti altri nella vita della Marchesa, sconosciuti a tutti, fuorchè al grande Retributore! Sì, se nei giorni lieti, ognuno sapeva che il modo migliore per ricambiare l’ospitalità signorile ed affabile di Casa Trotti era il raggiungere la Marchesa in un ritrovo benefico per lasciarle una somma pei suoi poveri, più gradita a lei del più bel mazzo di fiori per lei, e se il far piacere alla Marchesa era nei giorni lieti un piacere per chi la stimava, per chi le voleva bene, quel piacere ora era tramutato in conforto, in rimedio quasi alle sue sofferenze: il ricordarsi ora, lei malata, dei suoi poveri, l’aiutare le sue opere buone era un farla star meglio: altro conforto per lei, il poter lavorare a vantaggio dei miseri anche nel suo letto di dolore.