Pagina:Il buon cuore - Anno XIV, n. 23 - 5 giugno 1915.pdf/7

Da Wikisource.

IL BUON CUORE 183


c’era già la monografia degna, venerabile e vivente; mons. Vitali qui presente aduna e personifica, nella sua rosea vecchiezza giovanile, gran parte della storia dell’istituto. La sua presenza ha per tutti noi, per me specialmente, un alto senso augurale. Io saluto in Mons. Vitali, il genio benefico di questa grande famiglia dei nostri ciechi! La pubblicazione del nuovo consiglio è anzitutto il riconoscimento di, quanto fecero i consigli anteriori; anche riveste il carattere di una vera apologia. Era giusto prospettare quello che gli altri prima di noi hanno saputo fare, per attingere da essi norma ed impulso a continuare la bella tradizione. La monografia cosi ben riuscita segna un punto d’arrivo; -e nei propositi e nelle speranze che essa sia anche il punto di partenza per nuovo cammino. Milano benefica non si lascerà sfuggire il suo vanto migliore: il nostro istituto dei ciechi,- il più bello d’Italia, saprà tenere il primato che ebbe fin qui, auspice la generosità del cuore ambrosiano. Ma anche qua dentro è. scesa la gravezza dell’ora che attraversiamo. Il disagio economico che affatica un po’ tutti, si è fatta sentire anche ai poveri ciechi. Era inevitabile. Ed è tin vero peccato! Se l’istituto avesse conservata la piena efficienza dei mezzi, si poteva svolgere un’azione provvida a difesa ed a sollievo dei più colpiti. Perchè molte famiglie di questi allievi, delle allieve, dei bambini ciechi, hanno visto partire padri e fratelli verso la frontiera dove la Patria li ha chiamati al cimento. Fra essi l’allievo Cis, di Bezzecca, che si presenta con una sua composizione musicale, ha il padre profugo e la famiglia forse internata là dove sa di sale, oh quanto, il pane altrui. Invece tutto è rincarato anche per noi; tutto è difficile, si vorrebbe fare, e non si pitò. Anzi conviene procedere con cautela, per non subire più tardi i danni dell’imprevidenza. Eppure, se il nostro calcolo si fosse fermato ’qui, se cioè ci fossimo preoccupati soltanto di noi, voi, o buone signore, che date ai ciechi la vostra simpatia materna, non eravate contente. Nemmeno essi, i miei ciechi, ci avrebbero ringraziato. Non sono questi i, giorni in cui il calcolo individuale o quello della famiglia possa prevalere: c’è qualche cosa (li più alto e di più santo: questo sentono tutti ormai. Ebbene, anche la famiglia dei ciechi, pure nelle distrette economiche, vuole la sua.parte di sacrificio. Il Consiglio mette a disposizione della Croce Rossa Io() letti nell’Istituto per i soldati feriti. Faremo in modo che la comunità ne risenta il meno possibile; ci ingegneremo: ma ’anche i ciechi intendono dare con fierezza e con letizia il loro contributo nella gara di tutti per la campagna liberatrice.. Abbiamo in casa una bella infermeria, disposta secondo le regole moderne; mancava la suppellettile, chirurgica; una mano generosa solo ieri mi ha consegnato la somma necessaria, L. 1200, per arredare con tutte le esigenze mediche la nostra infermeria.

Qui venendo i militi della patria, offesi dal ferro nemico, troveranno la buona accoglienza ospitale; qui apprenderanno la fratellanza di un altro dolore. i.: mentre la cura dell’arte medica sanerà le nobili fenostro soldato impari quest’altra esperienza, rite, che voi signore e signori, già conoscete: che pure i ciechi sono fratelli d’Italia; che anch’essi intendono dare alla madre Italia quello che hanno di meglio, la forza gagliarda del sentimento, il puro fiore del sacrificio. E se la loro italianità non si espande per le vie della luce, si profonda però. nelle vie dell’anima; da questa profondità non più cieca ma piena di luce, manda ai vivi ed ai, morti il grido profetico della vittoria!»

Il discorso più volte interrotto da vivi sensi di approvazione, specialmente quando accennò all’opera del suo predecessore comm. Luigi Vitali, alla fine sollevò una vera acclamazione, quando il rettore invitò gli allievi e le allieve a intonare l’inno di Mameli. Tutto il pubblico si levò di un tratto in piedi battendo le mani. Fu momento di entusiasmo indescrivibile, entusiasmo che si ripetè quando, finito l’ultimo pezzo dell’accademia, la sinfonia dell’opera La Marta di Flotow, scoppiarono, a modo di chiusa, le note della Marcia Reale.

Innovazioni nel trattamento dei prigionieri di guerra.

Decisamente, i criteri di rigore anche verso i nemici della specie più grave, vanno assumendo, almeno fra, noi, una curiosa metamorfosi. Le nazioni belligeranti d’oggi, però finora non hanno ecceduto in tenerezze di certo verso i prigionieri da loro catturati sul campo. I posti di concentrazione debbono risuonare d’alti lai da spezzare un cuore appena sensibile, se dobbiamo giudicare dal pochissimo che a stento ne trapela. Non parliamo poi del passato: neppure di quel passato prossimo che è la guerra franco-prussiana del 1870. Basta leggere i ragguagli contemporanei venuti dalle migliaia di prigionieri di. Sedan e Mett per farsi un’idea del trattamento usato ai prigionieri di guerra del secolo scorso e da quello, per via di deduzione, o meglio, di elevazione ad una potenza infinitesimale, del trattamento déi prigionieri antichi. Ora, che cosa succede? che rompendo le,tradizioni del passato e staccandosi da quello che fanno.cggidì stesso potenze civilissime e gentili, l’Italia adotta un trattamento molto al rovescio. Cioè, mentre altrove, andando prigionieri del nemico, si pro_vano tutte le durezze comandate dalla triste situazione del momento, da noi, i prigionieri austriaci finora catturati, trovano nei nostri soldati ogni premura compatibile col dovere, e nei popolani, di tesori di pietà e di soccorso.