Pagina:Il diavolo.djvu/332

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324 Capitolo undicesimo

da ultimo assoggettati a quello, supremo ed eterno.


Altri descrisse l’inferno più propriamente simile a un’immensa e orrenda cucina, e a uno spaventoso tinello, dove i diavoli fanno da cuochi e da banchettanti, e le vivande sono di anime di dannati, in varii modi preparate ed acconce. Il già ricordato Giacomino da Verona dice che il cuoco Belzebù, mette l’anima ad arrostire com’un bel porco al fogo, la condisce con una salsa fatta di acqua, sale, fuliggine, vino, fiele, aceto forte, e uno schizzo di veleno buono, e così appetitosamente concia, la fa servire in tavola al re dell’inferno, il quale, assaggiatala, tosto la rimanda indietro, non parendogli cotta abbastanza. Un trovero francese dei tempi di Giacomino, Radulfo di Houdan, descrive in certo suo poemetto intitolato Le songe d’enfer, un gran banchetto infernale, cui gli fu dato di assistere, un giorno che il re Belzebù teneva corte bandita e generale concilio. Appena entrato in inferno, egli vide una gran moltitudine affaccendata in apparecchiar le tavole. Entrava