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― Siamo pronti. Il custode ha aperto la villa. Abbiamo a disposizione le stanze terrene; una gran comodità. Vieni a spogliarti.

Andrea lo seguì. Mentre si spogliava, i due medici aprivano i loro astucci dove riscintillavano i piccoli strumenti d’acciajo. Uno era ancor giovine, pallido, calvo, con le mani feminee, con la bocca un po’ cruda, con un continuo visibile attrito della mandibola inferiore sviluppata straordinariamente. L’altro era già maturo, fatticcio, sparso di lentiggini, con una folta barba rossastra, con un collo taurino. L’uno pareva la contraddizione fisica dell’altro; e la lor diversità richiamava l’attenzion curiosa dello Sperelli. Preparavano, sopra un tavolo, le fasce e l’acqua fenicata per disinfettar le lame. L’odore dell’acido spandevasi nella stanza.

Quando lo Sperelli fu in assetto, uscì col suo testimone e con i medici, sul piazzale. Ancora una volta, lo spettacolo di Roma tra le palme attrasse i suoi sguardi e gli diede un gran palpito. L’impazienza l’invase. Egli avrebbe voluto già trovarsi in guardia e udire il comando dell’attacco. Gli pareva d’aver nel pugno il colpo decisivo, la vittoria.

― Pronto? ― gli chiese il Santa Margherita, andandogli incontro.

― Pronto.

Il terreno scelto era a fianco della villa, nell’ombra, sparso di fina ghiaja e battuto. Giannetto Rútolo stava già all’altra estremità, con Roberto Casteldieri e con Carlo de Souza. Ciascuno aveva assunto un’aria grave, quasi solenne. I due avversarii furono posti l’uno di