Pagina:Il piacere.djvu/185

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voce ha un riposo pieno di riparatrice tranquillità. Nè anche le parole della madre inducono un sonno così puro e così benefico al figliuolo che soffre.

Guardava, ascoltava, muto, raccolto, intenerito, lasciando entrare in sè quell’onda di vita immortale. Non mai la musica sacra d’un alto maestro, un offertorio di Giuseppe Haydn o un Te Deum di Volfango Mozart, gli aveva data la commozione che ora gli davano le semplici campane delle chiese di lungi, salutanti l’ascension del Giorno ne’ cieli del Signore Uno e Trino. Egli sentiva il suo cuore colmarsi e traboccar di commozione. Qualche cosa come un sogno vago ma grande gli si levava su l’anima, qualche cosa come un velo ondeggiante a traverso il quale splendesse il misterioso tesoro della felicità. Finora egli aveva sempre saputo quel che desiderava e non aveva quasi mai trovato piacere da desiderare in vano. Ora, non poteva dire il suo desiderio; non sapeva. Ma, certo, la cosa desiderata doveva essere infinitamente soave, poichè era una soavità anche desiderarla.

I versi della Chimera nel Re di Cipro, antichi versi, quasi obliati, gli ritornarono alla memoria, gli sonarono come una lusinga.


“Vuoi tu pugnare?
Uccidere? Veder fiumi di sangue?
gran mucchi d’oro? greggi di captive
femmine? schiavi? altre, altre prede? Vuoi
tu far vivere un marmo? Ergere un tempio?
Comporre un immortale inno? Vuoi (m’odi,
giovine, m’odi) vuoi divinamente
amare?„