Pagina:Il piacere.djvu/447

Da Wikisource.

― 435 ―

― Andiamo domani.

Andarono, quando il sole era già sul declinare. Nella carrozza coperta, ella teneva su le ginocchia un fascio di rose. Passarono di sotto all’Aventino arborato. Intravidero i navigli carichi di vin siciliano ancorati nel porto di Ripa grande.

In vicinanza del cimitero, discesero; percorsero un tratto a piedi, fino al cancello, taciturni. Maria sentiva in fondo all’anima ch’ella non andava soltanto a portar fiori sul sepolcro d’un poeta ma che andava a piangere, in quel luogo di morte, qualche cosa di sè, irreparabilmente perduta. Il frammento di Percy, letto nella notte, nell’insonnio, le risonava in fondo all’anima, mentre guardava i cipressi alti nel cielo, oltre la muraglia imbiancata.

“La Morte è qui, e la Morte è là; da per tutto la Morte è all’opera; intorno a noi, in noi, sopra di noi, sotto di noi è la Morte; e noi non siamo che Morte.

“La Morte ha messo la sua impronta e il suo suggello su tutto ciò che noi siamo, e su tutto ciò che sentiamo e su tutto ciò che conosciamo e temiamo.

“Da prima muojono i nostri piaceri, e quindi le nostre speranze, e quindi i nostri timori; e quando tutto ciò è morto, la polvere chiama la polvere e noi anche moriamo.

“Tutte le cose che noi amiamo ed abbiam care come noi stessi devono dileguarsi e perire. Tale è il nostro crudele destino. L’amore, l’amore medesimo morirebbe, se tutto il resto non morisse...„