Pagina:Iliade (Monti).djvu/165

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154 iliade v.352

Corri dunque a placarla. Io ratto intanto
A Paride ne vado, onde svegliarlo
Dal suo letargo, se darammi orecchio.
Oh gli s’aprisse il suolo, ed ingoiasse355
Questa del mio buon padre e di noi tutti
Invïata da Giove alta sciagura.
Nè penso che dal cor mi fia mai tolta
Di sì spiacenti guai la rimembranza,
Se pria non veggo costui spinto a Pluto.360
   Disse; e ne’ regii alberghi Ecuba entrata
Chiama le ancelle, e a ragunar le manda
Per la cittade le matrone. Ed ella
Nell’odorato talamo discende,
Ove di pepli istorïati un serbo365
Tenea, lavor delle fenicie donne
Che Paride, solcando il vasto mare,
Da Sidon conducea quando la figlia
Di Tindaro rapío. Di questi Ecúba
Un ne toglie il più grande, il più riposto,370
Fulgido come stella, ed a Minerva
Offerta lo destina. Indi s’avvía
Dalle gravi matrone accompagnata.
   Al tempio giunte di Minerva in vetta
All’ardua rocca, aperse loro i sacri375
Claustri la figlia di Cisséo, la bella
D’alme guance Teano, che lodata
D’Anténore consorte i giusti Teucri
Di Minerva nomâr sacerdotessa.
Tutte allora levâr con alti pianti380
A Pallade le palme, e preso il peplo,
Su le ginocchia della Diva il pose
La modesta Teano: indi di Giove
Alla gran figlia orò con questi accenti:
   Veneranda Minerva, inclita Dea,385