Pagina:Iliade (Monti).djvu/252

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v.115 libro decimo 241

Di questa guerra e della clade achea.115
De’ Danai il rischio mi spaventa: inferma
Stupidisce la mente, il cor mi fugge
Da’ suoi ripari, e tremebondo è il piede.
Tu se cosa ne mediti che giovi
(Quando il sonno s’invola anco a’ tuoi lumi),120
Sorgi, e alle guardie discendiam. Veggiamo
Se da veglia stancate e da fatica
Siensi date al dormir, posta in obblío
La vigilanza. Del nemico il campo
Non è lontano, nè sappiam s’ei voglia125
Pur di notte tentar qualche conflitto.
   Disse; e il gerenio cavalier rispose:
Agamennóne glorïoso Atride,
Non tutti adempirà Giove pietoso
I disegni d’Ettorre e le speranze.130
Ben più vero cred’io che molti affanni
Sudar d’ambascia gli faran la fronte
Se desterassi Achille, e la tenace
Ira funesta scuoterà dal petto.
Or io volonteroso ecco ti seguo:135
Andianne, risvegliam dal sonno i duci
Dïomede ed Ulisse, ed il veloce
Aiace d’Oiléo, e di Filéo
Il forte figlio; e si spedisca intanto
Alcun di tutta fretta a richiamarne140
Pur l’altro Aiace e Idomenéo che lungi
Agli estremi del campo hanno le navi.
Ma quanto a Menelao, benchè ne sia
D’onor degno ed amico, io non terrommi
Di rampognarlo (ancor che debba il franco145
Mio parlare adirarti), e vergognarlo
Farò del suo poltrir, tutte lasciando
A te le cure, or ch’è mestier di ressa

Iliade, Vol. I 16