Pagina:Iliade (Monti).djvu/281

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270 iliade v.348

Avventossi a Coon che frettoloso
Dell’amato fratello Ifidamante
D’un piè traea la salma, alto chiedendo350
De’ più forti l’aita. Lo raggiunge
In quell’atto l’Atride, e sotto il colmo,
Dello scudo gli caccia impetuoso
La zagaglia, e l’atterra. Indi sul corpo
D’Ifidamante il capo gli recide.355
Così n’andâr, compiuto il fato, all’Orco
Per man d’Atride gli antenórei figli.
   Finchè fu calda la ferita, il sire
Coll’asta, colla spada e con enormi
Ciotti la pugna seguitò; ma come360
Stagnossi il sangue, e s’aggelò la piaga,
D’acerbe doglie saettar sentissi.
Qual trafigge la donna, al partorire,
L’acuto strale del dolor, vibrato
Dalle figlie di Giuno alme Ilitíe,365
D’amare fitte apportatrici; e tali
Eran le punte che ferían l’Atride.
Salì dunque sul carro, ed all’auriga
Comandò di dar volta alla marina,
E cruccioso elevando alto la voce,370
Prenci, amici, gridava, e voi valenti
Capitani de’ Greci, allontanate
Dalle navi il conflitto, or che di Giove
Non consente il voler ch’io qui compisca,
Combattendo co’ Teucri, il giorno intero.375
Disse, e l’auriga flagellò i destrieri
Verso le navi; e quei volâr spargendo
Le belle chiome all’aura; e il petto aspersi
D’alta spuma e di polve in un baleno
Fuor del campo ebber tratto il re ferito.380
   Come dall’armi ritirarsi il vide,