Pagina:Iliade (Monti).djvu/297

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286 iliade v.892

Niuna si prende nè pietà nè cura
Degl’infelici Achivi. Aspetta ei forse
Che mal grado di noi la fiamma ostile
Arda al lido le navi, e che noi tutti895
L’un su l’altro cadiam trafitti e spenti?
Ahi che la possa mia non è più quella
Ch’agili un tempo mi facea le membra!
Oh quel fior m’avess’io d’anni e di forza,
Ch’io m’ebbi allor che per rapiti armenti900
Tra noi surse e gli Eléi fiera contesa!
Io predai con ardita rappresaglia
Del nemico le mandre, e l’elïese
Ipirochíde Itimonéo distesi.
Combattea de’ suoi tauri alla difesa905
L’uom forte, e un dardo di mia mano uscito
Lui tra’ primi percosse, e al suo cadere
L’agreste torma si disperse in fuga.
Noi molta preda n’adducemmo e ricca:
Di buoi cinquanta armenti, ed altrettante910
Di porcelli, d’agnelle e di caprette,
Distinte mandre, e cento oltre cinquanta
Fulve cavalle, tutte madri, e molte
Col poledro alla poppa. Ecco la preda
Che noi di notte ne menammo in Pilo.915
Gioì Neléo vedendo il giovinetto
Figlio guerrier di tante spoglie opimo.
Venuto il giorno, la sonora voce
De’ banditor chiamò tutti cui fosse
Qualche compenso dagli Eléi dovuto.920
Di Pilo i capi congregârsi, e grande
Sendo il dovere degli Eléi, fu tutta
Scompartita la preda, e rintegrate
L’antiche offese. Perciocchè la forza
D’Ercole avendo desolata un giorno925