Pagina:Iliade (Monti).djvu/321

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310 iliade v.560

Un immane giacea macigno acuto:560
Non l’avrían mosso agevolmente due
De’ presenti mortali anche robusti
Per carreggiarlo. A questo diè di piglio
Ettore; ed alto sollevollo, e solo
Senza fatica l’agitò; chè Giove565
In man del duce lo rendea leggiero.
E come nella manca il mandrïano
Lieve sostien d’un arïéte il vello,
Insensibile peso; a questa guisa
Ettore porta sollevato in alto570
L’enorme sasso, e va dirittamente
Contro l’assito che compatto e grosso
Delle porte munía la doppia imposta,
Da due forti sbarrata internamente
Spranghe traverse, ed uno era il serrame.575
Fattosi appresso, ed allargate e ferme
Saldamente le gambe, onde con forza
Il colpo liberar, percosse il mezzo.
Al fulmine del sasso sgangherârsi
I cardini dirotti; orrendamente580
Muggîr le porte, si spezzâr le sbarre,
Si sfracellò l’assito, e d’ogni parte
Le schegge ne volâr; tale fu il pondo
E l’impeto del sasso che di dentro
Cadde e posò. Pel varco aperto Ettorre585
Si spinse innanzi simigliante a scura
Ruinosa procella. Folgorava
Tutto nell’armi di terribil luce;
Scotea due lance nelle man; gli sguardi
Mettean lampi e faville, e non l’avría,590
Quando ei fiero saltò dentro le porte,
Rattenuto verun che Dio non fosse.