Pagina:Iliade (Monti).djvu/344

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v.322 libro decimoterzo 11

Dalla tenda scontrollo il suo fedele
Merïon, che venía d’altr’asta in cerca.
   Figlio di Molo, Idomenéo gli disse,
Ove corri sì ratto? e perchè lasci,325
Diletto amico Merïon, la pugna?
Se’ tu forse ferito, e qualche punta
Ti tormenta di strale? od a recarmi
Qualche avviso ne vieni? Andiam, ch’io stesso
Non di riposi, ma di pugna ho brama.330
   Vengo, rispose Merïon, d’un’asta
A provedermi, Idomenéo, se alcuna
Te ne rimase al padiglion. La mia
Alla scudo la ruppi del feroce
Dëífobo. - Non una, il re riprese,335
Ma venti, se le brami, alla parete
Ne troverai poggiate entro la tenda,
Tutte belle e troiane e da me tolte
Ad uccisi nemici. Io li combatto
Sempre dappresso, e così d’aste io feci340
E d’elmetti e di scudi ombelicati
E di lucidi usberghi un tanto acquisto.
   Ed io pur nella tenda e nella nave
Ho molte spoglie de’ Troiani in serbo,
Soggiunse Merïon; ma lungi or sono.345
E neppur io mi spero in obblïanza
Aver posto il valor; chè anch’io ne’ campi
Della gloria so starmi in mezzo ai primi,
Quando di Marte la tenzon si desta.
Forse al più degli Achei mal noto in guerra350
È il mio valor, ma tu il conosci, io spero.
   Sì, lo conosco, Idomenéo riprese,
Ma che ridirlo or tu? L’agguato è il campo
Ove in sua chiarità splende il coraggio,
E dal codardo si discerne il prode.355